Lessico enologico: le dieci parole più abusate e (spesso) meno comprese intorno al vino
Le parole hanno un senso, significati precisi che
secoli di linguaggio ha contribuito a scolpire quasi come fossero Tavole della
Legge.
O quantomeno dovrebbero averlo.
Peccato che nella realtà, più spesso di quanto pensiamo
utilizziamo, vuoi per abitudine o per sentito dire, parole di cui ignoriamo il
reale significato, attribuendogli significati impropri o fuori contesto.
In questo il vino, ambiente che oltretutto porta con sé
un’aria di vetusta aristocraticità, è un contesto che non fa certo eccezione,
anzi è pieno zeppo di termini astrusi e di difficile comprensione, oltre che di
parole che sarebbero anche semplici da capire ma che vengono utilizzate a
casaccio.
Quello che segue è un breve ma significativo riassunto
delle “parole del vino” più abusate e spesso meno comprese (da chi le dice) e
comprensibili (per chi si ritrova a leggerle o ascoltarle).
Da amante delle classifiche – oltre che per aggiungere
un pizzico di suspence – ne ho fatto una personale top ten, partendo dalla
decima posizione fino ad arrivare alla vetta. Siete curiosi di scoprirla?
10. VARIETALE
Partiamo in scioltezza, quasi come ci stessimo
riscaldando. Aggettivo che indica un vino che rispetta i caratteri tipici
(sarebbe meglio dire primari, ma dovremmo aprire un altro argomento ed è meglio
non dilungarsi troppo…) dei vitigni che lo compongono, ma che, in un’accezione
più ampia, può anche significare quanto un determinato vino rispecchi nel
bicchiere le caratteristiche del territorio da cui proviene. Semplice no?
9.FRAGRANTE
Parliamo di vino o di una brioche? Cosa c’entra questo
termine decisamente “alimentare” in associazione al contenuto di una bottiglia?
Nella realtà, una relazione esiste, ed è ritrovabile nelle sensazioni che –
all’interno del profilo olfattivo del vino – rimandano all’attività dei
lieviti, che si esprimono mediante note di crosta di pane fresco o di
croissant. Caratteristiche che sono quindi maggiormente riscontrabili in vini
ottenuti mediante rifermentazione in bottiglia, come gli Spumanti Metodo
Classico o i vini frizzanti Metodo Ancestrale. In un significato più generale,
l’aggettivo viene utilizzato per fornire una sensazione di generale freschezza
olfattiva, quindi in associazione a vini marcati da intensi profumi fruttati e
floreali.
8.BARRIQUE
Questa sembra facile, anche perché quando si parla di
vino la si sente nominare praticamente in ogni situazione. Per molti la panacea
di tutti i mali, per altri Satana sotto forma di legno. Come sempre la verità
sta a metà strada (in media stat virtus, dicevano gli antichi), ma al di
là di questioni tecnico/ideologico/filosofiche, cos’è esattamente una barrique?
E’ un contenitore di piccole dimensioni per l’affinamento del vino, ma non
piccolo a caso, bensì una botte di legno di rovere (francese o americano) della
capacità variabile – a seconda delle varie tipologie e delle aree geografiche
di utilizzo – dai 190 ai 260L. Le più diffuse sono la barrique bordolese (225L)
e la borgognona (228L), detta anche piéce. Se a questo punto vi steste
chiedendo a cosa serva, quando viene utilizzata e che caratteri apporta al
vino, vi rimando ad un altro articolo del blog.
https://iviaggiatorigourmet.blogspot.com/2020/09/botte-grande-o-barrique.html
7.BIODINAMICO
Cominciamo a fare un minimo sul serio, parlando di un
termine decisamente “di moda” ma anche dai contorni sfumati. Un vino
biodinamico è un vino che segue i dettami della biodinamica, materia – ma
non certo scienza – elaborata a partire dalle idee del teosofo austriaco
Rudolf Steiner (1861-1925), che si propone il raggiungimento di un’agricoltura
in cui le coltivazioni siano in equilibrio con l’ecosistema circostante
attraverso una serie di iniziative da svolgersi sia in vigna che in cantina.
Nella sostanza, al di là dell’aspetto etico/filosofico, non è però mai stata
dimostrata una correlazione tra le pratiche biodinamiche e la qualità del
prodotto che se ne ottiene, al punto che – al pari di qualsiasi altro vino
prodotto da agricoltura convenzionale – esistono vini biodinamici di qualità
celestiale (La Romanée-Conti vi dice qualcosa?) ma anche autentiche schifezze.
6.ACIDITÀ
A chi si avvicina a questo “strambo” mondo, vedere
associato questo termine a vini importanti e blasonati, per di più con un
carattere decisamente positivo, può sembrare una bizzarria (un’altra?). Nella
realtà, per acidità non si intende un difetto del vino, bensì una componente
fondamentale di esso dovuta alla presenza di alcune tipologie di acidi, sia quelli
già contenuti nell’uva che quelli derivanti dal processo di fermentazione.
Un’elevata acidità si traduce in un generale alleggerimento del vino, capace di
regalare freschezza al palato ed armonia ed equilibrio a vini di per sé corposi.
Ma soprattutto, un’importante acidità è il principale indicatore della
longevità del vino. Di quest’ultimo tema ci sarebbe da scrivere parecchio, ma
per evitare di finire fuori tema preferisco fermarmi qui.
5.TANNICO
Tema ostico per molti neofiti, sia perché è associato
ad una caratteristica quasi peculiare del vino, sia per il fatto che
rappresenta un aspetto che allontana da quell’immediata piacevolezza che colui
si avvicina a questo mondo tende a ricercare nel bicchiere. Un vino tannico è
per assonanza ricco di tannini, sostanze polifenoliche (vi state chiedendo cosa sono? andate a cercarvelo se vi va…) contenute
nell’acino e nei raspi, a cui corrisponde una generale sensazione di
astringenza. Insomma, il vino allappa la bocca, arrivando in alcuni casi
estremi – tipo Sagrantino di Montefalco appena messo in commercio – quasi a
paralizzarvi i muscoli facciali durante l’assaggio. Oltre a quelli dovuti alle
uve di partenza, esiste anche un’altra categoria di tannini, conseguenti
all’interazione tra vino e legno in cui questo affina, ma essendo decisamente
più “dolci e gentili” non rappresentano di certo uno scoglio per il degustatore
alle prime armi.
4.ETEREO
L’etere è l’aria, o per meglio dire il mezzo, attraverso
cui si propagano i fenomeni elettromagnetici, oltre che la luce, e con etereo
ci si riferisce a qualcosa che porta con sé carattere spirituale, quasi
trascendente la realtà. Che c’azzecca con il vino? Sarà etereo un vino che ci
fa ubriacare al punto da scambiare lucciole per lanterne? Siete fuori strada,
perché è un altro tipo di etere a determinarne il significato, quello
dietilico. Un composto caratterizzato da un tipico e riconoscibile odore
pungente, che viene utilizzato a riferimento per descrivere vini in cui – il
più delle volte in seguito ad invecchiamento – i profumi e le componenti
alcoliche sembrano fusi come fossero un tutt’uno, richiamando particolari ed
eleganti odori di smalto, solventi o ceralacca.
3.MINERALE
Qui si comincia a fare sul serio, ma serio di brutto.
Uno dei termini che fa più figo utilizzare in relazione alle caratteristiche di
un vino ma di cui nessuno – ma proprio nessuno – può fornirne un significato
preciso e soprattutto unanimemente riconosciuto. O meglio, tutti lo
utilizziamo, ma il più delle volte a sproposito. Al di là di questo, è proprio
il termine a portare fuori strada, dato che rimanda ad un qualcosa (i minerali)
nella sostanza praticamente inodore. Un vino minerale è storicamente associato alla
“mineralità” dei terreni in cui crescono le sue uve e che si traduce in aromi
gessosi, pungenti ed idrocarburici ed in una notevole sapidità gustativa. Nella
realtà non ci sono evidenze scientifiche che dimostrano questa correlazione, ma
sia per la poesia che ci piace associare al vino che per intelligenti
operazioni di marketing, si continua tutt’oggi ad utilizzare il termine
l’aggettivo in associazione a vini con le caratteristiche sopra descritte.
2.TERROIR
Siamo
al top, al gotha dell’enologia, al termine che meglio di qualsiasi altro
rappresenta e certifica l’elevazione del vino a qualcosa di ben superiore ad un
semplice alimento. Se ne parla e lo si legge in ogni dove, a volte anche per
cavarsi fuori da situazioni in cui dare una risposta o una motivazione non è
affatto semplice. Ma al di là di questo, cos’è il terroir? E perché è un
termine di importanza capitale per il mondo del vino? Da definizione, è “un’area geografica in cui una serie di
fattori quali condizioni naturali, fisiche e chimiche, associate al clima, al
suolo ma anche alle tradizioni enologiche, permettono la realizzazione di vini
identificabili mediante le caratteristiche uniche della propria
territorialità”. Nella sostanza, una sorta di luogo di grande valore e
potenziale all’interno del quale produrre vino, un ambiente che come per magia
è capace di riprodurre e restituire nel vino, quasi come fosse acqua pura, caratteri
unici ed irripetibili al di fuori di esso.
1.NATURALE
So che a questo vi starete chiedendo: “ma come, dopo
nove parole che non usa nessuno se non i fighetti che passano il tempo a girare
il vino nel bicchiere, te ne esci con l’aggettivo più banale (quasi naturale,
mi verrebbe da dire) del mondo?”.
Evidentemente c’è un motivo, dato che se ci riflettete
bene si tratta di abuso degno di una villa con piscina nella Valle dei Templi
(ah, l’hanno fatta?), una delle nefandezze più grandi che si possano affermare
in relazione al mondo di Bacco: associare l’aggettivo naturale alla parola VINO.
E si badi bene, al vino, ossia al prodotto finale di una serie di
processi che di naturale, dove con il termine si intende – da definizione dell’Accademia
della Crusca: “fedele ai dettami della Natura”, non c’è proprio un bel niente.
Il rispetto della natura e della terra da cui tutto trae origine è una cosa –
buona e giusta aggiungerei – ma il concetto di vino naturale è una palese
contraddizione in termini, uno specchietto per le allodole capace di
trasformare sacrosanti concetti di sostenibilità ambientale in pura operazione
di marketing. A meno che ci sia qualcuno in grado di dimostrare che senza l’intervento
umano la vite – pianta rampicante e selvaggia come e più dell’edera – tenda a
prendere la forma bonsai a cui noi la obblighiamo nelle più svariate forme di
allevamento. O che una volta vendemmiato e spremuto l’uva questa si trasformi (quasi
per magia e senza intervento dell’uomo) in vino piuttosto che in aceto. Per la
serie “la Natura fa tante cose meravigliose, ma non fa vino”.
Grazie! Condivido soprattutto le parole sul termine "naturale" associato al vino!
RispondiEliminaFa piacere che i miei punti di vista, anche su temi scomodi come quello del vino naturale, siano condivisi da persone che hanno la mia stessa passione. Un abbraccio e alla prossima!
EliminaArticolo divulgativo e ben fatto
RispondiEliminaGrazie mille caro Alessandro! Un abbraccio e allla prossima!
EliminaBell'articolo Ago ���� tante volte con il termine minerale (almeno io) si vuole accennare alla sapidità e a quelle sensazioni magari indolori che ricordano il terreno (pietra, grafite....) dopo effettivamente molti termini sono molto abusati e veramente su tanti temi si potrebbero aprire dibattiti infiniti..ciao carissimo
RispondiEliminaInodori...
EliminaUn abbraccio ance a te caro Gabriele!
EliminaInnanzitutto volevo farti i complimenti per l'articolo. Sono d'accordo con te con i termini molto spesso usati non correttamente, soprattutto con la mineralità molto spesso usato impropriamente e con terroir essendo uno di quelli che comprende tanti fattori.
RispondiEliminaAggiungerei il termine vinoso. Certo un vino che è vinoso e come dire che un frutto sia fruttoso invece anche in questo caso ha un significato ben preciso!
Lo avevo dimenticato cara Silvia, ma hai ragione, meriterebbe di essere inserito. Per il resto grazie dei complimenti!
EliminaCiao Ago, ti segnalo tra i termini più abusati anche il "retrogusto"!!!
RispondiEliminaCome ho fatto a dimenticarmene caro Andrea!
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