Botte grande o barrique?
Da sempre (o quasi) quando si parla di
vino si finisce gioco forza a dover considerare il contenitore in cui esso è
fatto maturare o, per meglio dire, affinare.
E se lo si fa con riferimento a vini di qualità, o
quanto meno pensati in considerazione di una certa capacità di invecchiamento,
la strada non può che essere una: il legno.
Il motivo è presto spiegato, e risiede
nella sua doppia capacità di:
- garantire la micro-ossigenazione del vino (grazie alla sua porosità) cosa impossibile per contenitori inerti, quali acciaio, cemento ma anche la terracotta
- cedere una quota parte dei propri tannini - chiamati gallici e più dolci e meno invasivi di quelli contenuti all'interno dell'uva - al vino stesso, allo scopo di ingentilirne il carattere e di conferirne complessità e maggiore piacevolezza
Per questo, il binomio legno/vino è da
secoli al centro di ogni tavolo di discussione “enoica”, sia essa al livello di
tecnici/enologi che di semplici appassionati, finendo, in alcuni casi “limite”
per assumere caratteri dogmatici (o pseudo tali).
Nel passato sono stati utilizzate
molteplici tipologie di legni per l’affinamento del vino, ed in alcune zone del
nostro paese (Toscana e Piemonte) si è spesso ricorso al legno di castagno, nel
tempo progressivamente abbandonato a causa della sua caratteristica di cedere tannini
troppo “ruvidi”, finendo quindi per risultare deleterio per il vino in esso
contenuto.
Ad oggi, è universalmente assodato che il legno migliore per l’affinamento del vino sia la quercia, ed in particolare quella di rovere, tipologia con il quale viene realizzata la pressoché totalità delle botti.
La grande diatriba non è quindi sul
tipo di legno da utilizzare, ma bensì sulle dimensioni che dovrebbe avere la
botte stessa, ed in particolare se sia da preferire la cosiddetta “botte grande”
(di capacità superiore ai 10hl ed in genere proveniente dalla Slavonia, regione
della Croazia molto ricca di foreste) oppure se sia necessario ricorrere a
botti di dimensioni più piccole (francesi o americane).
Motivo di tale differenza, non immediatamente
comprensibile - specie per i non “addetti ai lavori” - risiede nel diverso rapporto
tra superficie del legno a contatto il vino e volume dello stesso.
In pratica, più piccola è la botte e
maggiore è tale rapporto, e con esso – almeno teoricamente – è la capacità del
legno di caratterizzare il vino in esso contenuto.
Altro aspetto, ancor più tecnico ma al
tempo stesso importante – è il differente grado di tostatura (in parole povere
per quanto tempo e a che temperature vengono riscaldati le doghe utilizzate per
la realizzazione delle botti), che influenza in maniera importante gli aromi
che il legno cede al vino.
Ultimo fattore è quello del tempo
necessario all’affinamento in legno, che può variare da alcuni mesi per vini di
media qualità e da bere giovani fino a diversi anni per vini di elevato
lignaggio.
Personalmente, dopo aver assaggiato
vini provenienti dalle più svariate aree del globo ed affinati nei legni più
disparati, mi sono fatto un’idea, che provo a sintetizzare nei seguenti punti.
a. Il legno non
trasforma un rospo in un principe. Tradotto in soldoni, l’affinamento in legno è
in grado di dare maggiore complessità al vino, a patto che questo abbia –
preventivamente – corpo e struttura per sopportarne la permanenza
b. Non c’è una
legge universale che orienta la scelta verso un legno piccolo o una botte
grande, anche se al di fuori del nostro paese sono davvero pochi – se non
addirittura nessuno – i grandi vini affinati in botti di elevate dimensioni
c. In generale,
la scelta circa il tipo di botte dipende fondamentalmente dal vitigno/vitigni
che compongono il vino.
d. Alcune uve
(Cabernet Sauvignon e Merlot tra tutte, ma anche i nostri Aglianico, Sagrantino
e Montepulciano) per caratteristiche e per struttura sono in grado di reggere
egregiamente il passaggio in legno piccolo, anzi possono uscirne con maggiore
complessità e piacevolezza. In tal caso, i migliori risultati si ottengono in
presenza di affinamenti variabili tra 18/24 mesi, periodo ampiamente sufficiente alla
barrique per rilasciare appieno le proprie “sostanze” ma al tempo stesso
necessario per la piena maturazione del vino.
e. Altre uve, che
definisco “intermedie” (come Sangiovese e Tempranillo) si prestano ad entrambe
le opzioni, riuscendo ad esprimersi al meglio sia in presenza di affinamenti in
legno grande (il Brunello di Montalcino è un caso emblematico) che in legno
piccolo, ma anche nel caso di affinamenti in botti di piccole dimensioni ma al tempo stesso
usate e poco tostate, quindi poco “contaminanti” (come accade per certi vini
della Rioja, anche di grandissima qualità).
f. Infine, pochi
vitigni (tra cui il Nebbiolo è sicuramente il più noto), caratterizzati da una
combinazione di elevata acidità/tannino in presenza però di un estratto non
molto importante, verrebbero sovrastati – e quindi trasformati – in maniera
troppo evidente dal passaggio in legno piccolo. In tal caso, è a mio avviso preferibile l’utilizzo di botti di grandi dimensioni, ed i migliori risultati
si ottengono in presenza di un affinamento di almeno 30/36 mesi, tempo
necessario alla perfetta maturazione del vino.
Nella sostanza, è evidente che non esiste una ricetta
univoca da utilizzare, ma a seconda del vitigno e del vino che si vuole
ottenere è possibile modulare dimensione, grado di tostatura e tempo di
affinamento in maniera da ottenere il miglior risultato possibile.
Quello che è però certo, a prescindere da tutto, è che non esiste legno in grado di creare un grande vino. Quello può farlo solo il terroir da cui esso si origina, ed al quel punto l’uomo può solo utilizzare tecnica e conoscenze per evitare di disperdere il potenziale che la natura gli ha fornito.
Ciao Ago,, mi chiedevo cosa cambia con i bianchi, al di là della diversa tecnica che si adotta : tempi di permanenza in botte più ridotti ? Altro?
RispondiEliminaUn saluto
Salute Alessandro! La domanda è interessante, e la risposta meriterebbe un approfondimento, se non proprio un articolo a parte.
EliminaIn linea generale nei bianchi il legno serve in parte (minima) a smussare l'acidità, ma soprattutto a conferire maggiore complessità al naso ed in bocca. In ragione di ciò si utilizza principalmente il legno piccolo, con tempi di permanenza non eccessivi, e quindi non superiori a 12 mesi.
È sempre un piacere leggerti. E sono d’accordo con te quando parli di grande vino uguale terroir. Non può essere la botte a fare grande un vino. Anzi... un grande vino è quello non troppo contaminato capace di mostrare il territorio in modo elegante. Spesso le aziende esagerano con il legno per nascondere i difetti del vino.
RispondiEliminaGrazie mille amico mio. È sempre un piacere vedere che le proprie opinioni, maturate in anni di assaggi, siano condivise da altre persone con la mia stessa passione. Continua a seguirci ed a commentare!
EliminaArticolo molto interessante ed esplicativo. Grazie! Condivido il tuo punto di vista. Parte tutto dal terroir
RispondiEliminaAssolutamente cara Bianca! Senza grande terroir non può esserci grande vino. Il legno può aiutare un certo miglioramento, ma di certo non trasforma un asino in un cavallo da corsa...
EliminaOttimo approfondimento, sempre molto preciso e dettagliato. Non voglio aggiungere altro perché hai scritto e spiegato davvero tutto . Posso solo dire che sono d'accordo con te. Il legno deve essere un amico del vino non un prevaricante. Ci sono vini che si esprimono benissimo anche senza il legno e sono adatti e concepiti per un consumo immediato. E ci sono quelli come il nebbiolo e il sangiovese che prediligono le botti grandi... C'è da valutare caso per caso! Ciao Ago
RispondiEliminaVedo che hai compreso appieno in mio pensiero in materia, cara Silvia.
EliminaSono altresì contento che sull'argomento la pensiamo allo stesso modo.
Grazie mille per le belle parole.
Continua a seguirci ed a commentare!