Sfumature di Mantonico

 


Si parla spesso, a volte con eccessivo zelo, dei vitigni autocnoni e dei vini che da essi prendono vita. L’Italia, seconda al mondo (dopo la piccola ma iper-variegata Georgia) per numero di varietà ampelografiche, è ricchissima di cultivar, al punto che ogni area geografica del nostro stivale, compresa la più piccola e remota, ha i suoi vitigni “storici” che mostra con orgoglio, anche se il mercato - specie quello mondiale - tende sempre più ad andare in direzione opposta, verso una standardizzazione dei vitigni ed una conseguente omologazione del gusto.

Alcuni di loro (per la verità pochi) hanno avuto nel corso dei secoli larga diffusione arrivando a “colonizzare” intere regioni, altri pur esprimendo il meglio in uno specifico territorio hanno trovato ragione d'essere anche al di fuori di esso, ma la stragrande maggioranza dei nostri autocnoni è rimasto confinato nel proprio territorio di origine, esprimendo vini spesso sconosciuti al grande pubblico ma – in alcuni casi – di elevata qualità.

All’interno di quest’ultima casistica rientra il Mantonico Bianco, raro vitigno del sud della Calabria, la cui origine è ancora oggi incerta e che trova il suo habitat di elezione nella zona costiera della Locride, regione subcollinare caratterizzata da terreni calcareo-argillosi (particolarmente vocati per le uve bianche) con estati molto calde e secche, mitigate dalle brezze del mare.

Per la sua caratteristica di maturare tardivamente e per le temperature tipiche della zona (oltre che per le difficoltà di vinificazione), il Mantonico viene di norma fatto appassire su graticci, ottenendone un vino passito dolce e concentrato, mentre in alcuni sporadici casi viene vinificato secco, dando luogo a vini strutturati e dall’ampio corredo aromatico.

Tra le aziende capaci di raccontare nel bicchiere entrambe le “anime” di questo vitigno c’è Cantine Lucà, realtà vitivinicola radicata nel territorio della Locride, che nella gamma aziendale, oltre ai sopracitati vini, produce altre quattro etichette, tra cui il prestigioso e pluripremiato Greco di Bianco Passito DOC.

Pochi e meno invasivi possibili gli interventi, con le attività in vigna in gran parte basate sul solo lavoro manuale e con quelle in cantina limitate alla sola stabilizzazione del prodotto finale.

 


Ma veniamo ai protagonisti dell’approfondimento, al loro assaggio ed alle mie impressioni.

Il Mantonikos 2019, versione secca del vitigno proposta dall’azienda, è un canonico orange wine, con macerazione che si protrae per circa quattro giorni e che affina in acciaio per sei mesi. Viene imbottigliato senza filtrazione né chiarifica.

Alla vista si veste di aranciato carico con sfumature che virano verso l’ambrato, non troppo denso oltre che leggermente velato. Al naso è intenso e particolare, inizialmente marcato da note pungenti (quasi sulfuree) che con il tempo lasciano spazio ad aromi di frutta matura (susine gialle, albicocca), rimandi speziati e vegetali ed una sfumatura minerale in sottofondo che conferisce ulteriore profondità e complessità al profilo. In bocca mostra un corpo più che discreto, esprimendo un'acidità importante che le morbidezze non riescono però pienamente ad equilibrare. Bella la sapidità che accompagna il sorso in tutto il suo sviluppo, appena accennata la componente tannica. Buona persistenza, finale caratterizzato da leggeri rimandi di mandorla.

 

Il Mantonico Passito 2015, è invece ottenuto da uve raccolte manualmente nella prima decade di settembre e lasciate ad appassire sui graticci con esposizione diretta al Sole per 8-10 giorni, per poi venir affinato per circa quindici mesi in botti di castagno.

Il suo colore è quello dell’ambra, intenso e piuttosto denso, con una leggerissima opalescenza a offuscarne appena la silhouette. Al naso è intenso e senza sbavature, di buona finezza e variegata complessità. Arancia candita, albicocca disidratata, fichi secchi, sorbe mature e noci i descrittori che ne raccontano il profilo aromatico, a cui si aggiunge una nuance eterea via via più evidente con il riscaldamento. In bocca mostra buon corpo ma è meno “volumico” di quanto mi sarei atteso, caratterizzandosi per un attacco estremamente fresco capace di bilanciare l’evidente dolcezza, con in più una sapidità quasi salmastra ad aumentarne ulteriormente dinamicità e piacevolezza. Ancora buona la persistenza, finale asciutto su note di frutta secca e delicati rimandi amarognoli.

 

Nel complesso due fratelli diversi, bottiglie con più di qualche punto in comune (i profumi varietali, la vibrante acidità in ingresso, il tono iodato/salmastro che marca il centro bocca e il finale amarognolo) ma al tempo stesso abbastanza lontane nell’impostazione generale. Senza dubbio più preciso, lineare ed armonico il passito, più verace (a tratti irruenta) e particolare la versione secca.

Commenti

  1. Grazie per la condivisione! È vita di evidenziare i vitigni meno conosciuti 😊

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  2. Il passito sembra davvero interessante… thanks per aver condiviso questa conoscenza!

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  3. Un paio d'anni fa ho bevuto un passito mantonico della tenuta Dioscuri. Niente male

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