Chianti Classico: Un territorio, tante identità

Il tema dell’identità, o per meglio dire della riconoscibilità di una denominazione è – a mio modesto parere – una delle più interessanti e ricche di spunti dell’intero panorama enoico.

In alcuni casi, l’insieme di vitigno e territorio genera una vera e propria omologazione del profilo gusto-olfattivo, a seguito del quale i vini di una certa area geografica – a prescindere dalla loro qualità intrinseca – appaiono un po' tutti uguali a sé stessi.

Esempio emblematico in tal senso sono i Sauvignon Neozelandesi, specie quelli provenienti dalla zona di Marlborough (che tra l’altro adoro), caratterizzati da profumi e gusti così marcati e delineati al punto da aver quasi creato un marchio, uno stile riconoscibile oltre che molto apprezzato.

Al contempo, esistono anche situazioni antitetiche, ossia denominazioni che per un insieme di fattori hanno al loro interno diverse anime, interpretazioni dissimili (in alcuni casi anche molto lontane) di uno stesso terroir.

E se si parla di eterogeneità nel vino non si può non fare un’associazione diretta con il Chianti Classico, DOCG di grande valore ed interesse ma spesso “sottovalutata” da critica ed appassionati, anche a causa di scelte commerciali per certi versi discutibili.

Ecco, quando penso ai vini con il marchio del Gallo Nero, con riferimento agli stili ad essi associati, mi torna in mente il famoso romanzo pirandelliano intitolato “Uno, Nessuno e Centomila”.

Uno come il Sangiovese, comune denominatore e collante dei vini di questo territorio, capace di trasmettere nel bicchiere i caratteri di base (acidità e bevibilità su tutti) che si ritrovano in ogni etichetta all’interno della DOCG, a prescindere da tutte le altre condizioni al contorno.

Nessuno perché anche se c’è un vitigno che accomuna tutti i vini di questa denominazione, non si può certo affermare che esista un’interpretazione “dominante”, capace di mettersi alle spalle tutte le altre.

Centomila (in senso figurato) come le diverse anime che convivono in armonia in questa meravigliosa area vitivinicola della Toscana.

Infatti, senza voler esagerare con i numeri è davvero difficile – quando si avvicina il naso e la bocca ad un calice di Chianti Classico – avere certezza dei caratteri che troveremo nel bicchiere.

Spesso è una questione di sfumature, di piccoli aspetti che ad un bevitore distratto possono sembrare “insignificanti”, ma per chi ama questo territorio è davvero bello (ma anche impegnativo) immergersi in questo mare di interpretazioni.

Ok, fino ad ora ho detto molte cose, ma ammetto di essere rimasto sul generico, e mi sembra giunto il momento di entrare più nello specifico, ricercando in dettaglio i motivi che determinano questo “unicum”.

A mio avviso sono almeno quattro i macro-fattori che mischiandosi tra loro, fondendosi uno con l’altro, concorrono a creare le “centomila” versioni di Chianti Classico a cui ho accennato poco fa.

In primis il fatto che il Sangiovese – vitigno fondante di questa DOCG - è senza dubbio un’uva neutra, e pertanto poco omologante ed omologabile, specie a livello olfattivo.

Rappresenta quindi una sorta di base perfetta da cui partire per costruire vini originali ma al tempo stesso piacevolissimi e molto apprezzati.

Inoltre, la DOCG del Gallo Nero (una delle più antiche e ricche di tradizioni della nostra enologia) è anche una delle più vaste a livello territoriale, presentando al suo interno aree geografiche molto diverse tra loro, caratterizzate da altitudini e temperature medie estremamente differenti.

Pensare che un vino prodotto a Radda in Chianti (in zone in cui fino a qualche decennio fa il Sangiovese faceva addirittura fatica a giungere a piena maturazione) possa essere assimilabile ad uno prodotto nella famosa “Conca di Panzano” è pura utopia.

Per fare un paragone ardito ma al tempo stesso calzante, sarebbe come pensare l’ambiente in cui ci troviamo a vivere, l’educazione che ci viene data da bambini e le condizioni in cui cresciamo non concorrano in nessun modo a formare la nostra personalità ed il nostro carattere.

Equivarrebbe ad affermare che Rousseau ci ha raccontato un sacco di balle…

Tornando sulla terra dopo questa “modesta” digressione socio-filosofica, altro aspetto che contribuisce a rendere i vini del Chianti Classico un rebus in cui si fa spesso fatica a districarsi è l’eterogeneità dei terreni.

Infatti, a fianco di aree caratterizzate da terreni sabbiosi si affiancano zone ricche di depositi di macigno (ossia suoli estremamente poveri di sostanze organiche), oltre a quelle in cui a prevalere è invece il galestro/alberese, senza dubbio il suolo più “pregiato”, quello da cui hanno di norma origine i grandi rossi di Toscana.

Senza contare il fatto che – generalmente – il terreno non è costituito da una sola tipologia di suoli, ma finisce per essere un mix di questi, con percentuali anche molto diverse tra loro a distanza di pochi chilometri uno dall’altra.

Dulcis in fondo, l’aspetto che in Italia – terra dei campanili e delle mille interpretazioni – non può mai mancare, ossia quello dei differenti stili personali con cui viene “decantato” ed interpretato il Chianti Classico.

Alcuni produttori vinificano il Sangiovese in purezza, altri - più aderenti alla tradizione – preferiscono “tagliarlo” con uve autocnone (Colorino e Canaiolo su tutte), altri ancora lo “supportano” affiancandogli piccole quantità di vitigni internazionali.

Anche il legno utilizzato per l’affinamento è oggetto di discussione, con la solita – e per certi versi stancante – diatriba tra botte grande e legno piccolo a tenere il centro del dibattito, generando molto spesso le solite frange di “estremisti” del vino, da una parte o dall’altra della barricata.

Senza contare il fatto che il disciplinare, che qualche anno fa ben pensato di affiancare la tipologia “Gran Selezione” a quelle classiche di “Annata” e di “Riserva”, contribuisce a generare confusione, oltre ad allargare ulteriormente le maglie entro cui è possibile muoversi.

Alla fine della giostra, ci sono tutti gli elementi per far disorientare il consumatore medio, ma al tempo stesso per far appassionare e generare interesse nel bevitore più evoluto.

Personalmente, nonostante nel vino ricerchi in primis eleganza e finezza, mi rendo conto di preferire un “modello” di Chianti Classico un po’ più orientato sulla forza e sulla progressione, forse perché la bevibilità – aspetto che a mio avviso non dovrebbe mancare mai in un vino – è caratteristica che si ritrova nella quasi totalità delle bottiglie riportanti il marchio del Gallo Nero.

Ma in ogni caso, a prescindere dal mio gusto personale, ce n’è davvero per tutti i palati, dagli amanti dei vini sottili ed eleganti (a cui consiglio di guardare nella zona di Lamole o di Radda) passando per coloro che in un vino ricercano principalmente equilibrio e piacevolezza (a cui suggerisco quelli prodotti a San Casciano o a Castellina) per arrivare agli appassionati di vini più strutturati e tannici (che allora non possono perdersi i Chianti prodotti a Castelnuovo Berardenga).

Se posso darvi un consiglio, vi invito, non appena sarà possibile, a prendervi una o due settimane di ferie da lavoro, fare il pieno di benzina alla vostra macchina e partire alla volta di questo territorio.

Scoprirete un vero e proprio angolo di paradiso, ricco di panorami mozzafiato e di splendidi borghi, oltre che una miriade di aziende e persone meravigliose.

Salute, e viva il Sangiovese!

 

Bonus Track: 3 etichette da non perdere

Nota personale: Anche in questo caso la grande densità di aziende (e relativi vini) di eccelso valore mi ha “obbligato” a scegliere le tre etichette utilizzando con un criterio affettivo ed emozionale, oltre che – permettetemelo anche stavolta – di rapporto qualità/prezzo, aspetto che è giusto non trascurare mai.


Chianti Classico Isole e Olena: Ottenuto da uve Sangiovese a cui viene aggiunta una parte di Canaiolo e di Syrah, è un vino intenso e pieno, estremamente ricco e caratterizzato una piacevolissima speziatura, oltre che da una progressione degna dei migliori rappresentanti di questa denominazione. Nelle annate in cui riesce a tenere a freno l’alcol, è davvero uno spettacolo dei sensi.

Querciabella – Chianti Classico: Sangiovese in purezza, prodotto unendo uve provenienti da vigneti situati in differenti zone della DOCG, esprime eleganza e finezza ai massimi livelli. Un vino di grande qualità ma al tempo stesso con una bevibilità killer. Preferisco la versione “annata” a quella “Riserva”, più strutturata ma spesso un po’ compressa e monolitica, specie in giovane età.

Chianti Classico Riserva “Borro del Diavolo” Ormanni: Altro Sangiovese in purezza, è un vino strutturato ma al contempo avvolgente e armonioso, consistente ma dai tannini perfettamente bilanciati. Una delle Riserve con il miglior rapporto qualità/prezzo che mi sia mai capitato di assaggiare.

Commenti

  1. Risposte
    1. Grazie a te amica mia!
      Alla prossima sul mio blog!
      Un abbraccio!

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  2. Voglia di Toscana..bell'articolo

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    1. Grazie mille caro!
      Diciamo che quando si parla di Toscana del vino si parte avvantaggiati, visto che non mancano esempi di qualità assoluta di cui poter parlare!
      Un salutone, e grazie mille per aver letto e commentato l'articolo!

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  3. Grande trittico! Adoro il Chianti e queste etichette.

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