Il Cesanese, un grande sottovalutato

 

Quando si parla del Lazio del vino, si afferma spesso che si tratta un territorio fondamentalmente da vini bianchi, ed il più delle volte neanche troppo di livello.

Di vini rossi, quasi meglio non parlarne.

Personalmente, pur riconoscendo la buona qualità di alcune produzioni bianchiste (oltre che di qualche vitigno che si sta scoprendo decisamente portato per la spumantizzazione, come ad esempio il Bellone), ritengo questa affermazione la classica “cagata pazzesca” di Fantozziana memoria, per almeno una ragione e mezza.

La “mezza” è costituita dalle produzioni basate sui cosiddetti vitigni internazionali, che determinano una fetta importante dei volumi vinicoli regionali e che – nonostante siano abbastanza lontani dai miei gusti personali – hanno una dignità ed un valore che non può essere in alcun modo messo in discussione.

La ragione “intera” risiede invece nelle produzioni autocnone, le quali nonostante oggi non godano di una grande notorietà, hanno però qualità e potenziale per poter aspirare a ben altra fama.

Penso al Nero Buono, diffuso e coltivato nella zona dei Monti Lepini a ridosso del comune di Cori, ma soprattutto al Cesanese, uno dei vitigni a mio avviso più sottovalutati dell’interno panorama enoico nazionale.

Un’uva coltivata in diverse aree della regione, ma che tradizionalmente è riconducibile nella zona settentrionale della provincia di Frosinone e nell’area della provincia di Roma attigua ad essa, la stessa in cui esprime al meglio le sue caratteristiche e potenzialità.

Per certi versi – e senza voler essere blasfemi – l’ho sempre considerato un vitigno “uno e trino”, in quanto nonostante sia spalmato su tre denominazioni (Cesanese del Piglio DOCG, Cesanese di Olevano Romano DOC e Cesanese di Affile DOC) – oltre che in due distinti biotipi – è comunque in grado di mantenere, al di là delle inevitabili sfumature, un carattere identitario ben delineato ed evidente.

Un vitigno difficile, che se maltrattato (come spesso accade) dà luogo a prodotti anche piuttosto scadenti e banali, ma che in particolari condizioni ed in presenza di un lavoro (in vigna ma anche in cantina) rigoroso e metodico può dar vita a vini di assoluto spessore.

Vini dai profumi eleganti e complessi, potenti ma estremamente equilibrati al palato, in cui l’acidità tipica del vitigno viene bilanciata alla perfezione dal tannino, tendenzialmente bello gagliardo ma che – se ben gestito – sa essere dolce e vellutato.

Di aziende – e di etichette – di riferimento ce ne sono diverse, ma l’ulteriore riprova del potenziale di questo vitigno l’ho avuta qualche sera fa, di fronte al Cesanese del Piglio Superiore Romanico 2015 dell’azienda Coletti Conti.

Un grande classico della denominazione, uno degli alfieri più splendenti di un territorio vitivinicolo che ha tutte le carte in regole per arrivare ad una considerazione – da parte della critica ma anche e soprattutto da parte degli appassionati – decisamente superiore a quella di cui gode attualmente.

 

Cesanese del Piglio Superiore Romanico 2015 - Coletti Conti

Giudizio personale: 90/100

Uvaggio: 100%Cesanese di Affile

Affinamento: 15 mesi in barrique di rovere francese

Fascia di prezzo: 20-25€

 

DEGUSTAZIONE

👀 Rubino con tendenza al granato, buona intensità e densità, eccellente limpidezza

👃Elegante ed avvolgente, di buona intensità e complessità. Frutta rossa matura, prugna, leggera sfumatura floreale, delicate note speziate (pepe) e balsamiche (liquirizia)

👄Di buon corpo, piacevole ed equilibrato, con bella spalla acida a garantire beva e longevità ed un tannino robusto ma ben integrato nella struttura, oltre che di buona finezza (a denotare l’uso sapiente del legno piccolo). Ottima persistenza, finale coerente e di grande pulizia

Commenti

  1. Grazie per questo bell’ articolo...
    Penso che sia il merito della cantina che in base a come lavora, da un prodotto strepitoso o meno ... complimenti a questa cantina!!!

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    1. Grazie a te caro Paolo per aver letto e commentato l'articolo. l'azienda lavora molto beno, questo è fuori di dubbio, ma in questo caso mi premeva maggiormente accedere i riflettori - per quel poco che posso - su un territorio non ancora conosciuto come meriterebbe...

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  2. Hai ragione Ago, quando pensi a bere un buon rosso, difficilmente pensi al Lazio. Invece ci sono tanti produttori, sia grandi, come Casale del Giglio con l'ottimo Mater Matuta, ma anche piccoli, come Casale Cento Corvi o Tenuta Tre Cancelli, che producono dei rossi notevoli. Per il Cesanese, oltre a questo di Coletti Conti nel tuo bellissimo articolo, ho assaggiato l'ottimo Cisinianum della cantina Formiconi.

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    1. Assolutamente d'accordo con te caro Umberto.
      Ed infatti, quando parlavo della "mezza ragione" per apprezzare i vini rossi laziali, relativa alle produzioni di vini di taglio internazionale, il riferimento ai vini di Casale del Giglio era abbastanza evidente, al di là dei miei gusti personali...
      Grazie mille per aver letto e commentato il mio post. Alla prossima!!!

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  3. Ho degustato il cesanese e condivido che sia un vitigno ingiustamente sottovalutato (come spesso accade ahimè ai vini laziali). Grazie per il consiglio sulla cantina 🍷

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    1. Assolutamente sottovalutato cara BingaSommelier, anche se sono convinto che con il tempo, e con l'impegno dei produttori e di coloro che hanno il compito promuovere il territorio, sarà prendersi la ribalta he merita.

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