I miei territori del Vino (1): l’Irpinia e l’Aglianico
Alcuni non
diventano mai folli. I loro vini devono essere proprio noiosi.
(Charles Bukowski)
Parlando dei luoghi del vino dal mio personale – ed
assolutamente soggettivo – punto di vista, anche se probabilmente non rientra
nel novero dei territori enologici ad oggi maggiormente conosciuti ed
apprezzati del nostro belpaese, non potevo non partire da quello che considero
uno degli areali con il maggior potenziale in ambito vitivinicolo in Italia,
una zona che, grazie alle caratteristiche pedo-climatiche di cui gode (elevata
altitudine, elevata escursione termica giornaliera, suoli misti di origine vulcanica
ed influenza stessa di un vulcano attivo) ha tutte le carte in regola per
esprimere grandissimi vini: l’Irpinia.
Un
territorio impervio e caratterizzato da inverni molto rigidi, ricco di storia e
con tradizioni contadine che si perdono nella notte dei tempi, il quale, nonostante si esprima
in maniera notevole anche con due vitigni a bacca bianca (Fiano e Greco) trova la
sua sublimazione, il suo naturale e perfetto completamento con quello che considero
il “principe senza corona” dell’enologia italiana: l’Aglianico.
Un vitigno difficile da coltivare ed a maturazione
piuttosto tardiva, che dà luogo a vini generalmente tannici e dalla spiccata
acidità, che sa esprimersi in forme diverse e di eccellente qualità anche in altri
territori (in primis nella zona del
Vulture) ma che raggiunge la sua massima espressione nell’areale irpino, in
questo lembo di terra che per decenni ha vissuto di povertà ed emigrazione, e
che ai più è ricordato solo per il catastrofico terremoto che la colpi il 23
Novembre 1980, distruggendo intere comunità e spezzando migliaia di vite.
Irpinia ed Aglianico: due facce della stessa medaglia.
Se fossero persone sarebbero tipi burberi, chiusi,
scontrosi, che non amano apparire e che – soprattutto – non si aprono con
chiunque gli si pari davanti. Ma che però hanno un grande cuore ed un’anima
profonda, e quando trovano la compagnia giusta, quando decidono di parlare, di
raccontarsi, sanno tirare fuori grandi pensieri e grandi verità.
Ed in fondo è proprio questo che mi piace
dell’Aglianico irpino, in particolare quello prodotto nell’areale che dà luogo
ed origine al Taurasi. Non è un (quasi) mai vino facile, non vuole né saprebbe
ammaliarti con dei profumi dolci e suadenti o con una gustativa fatta di
morbidezze sparate a mille. Al contrario, il più delle volte si presenta austero,
scontroso e diffidente, ma se sai (e soprattutto vuoi) aspettarlo, se hai
voglia di entrarci in connessione, con il tempo ha la capacità di cambiare
faccia e di mostrarsi per quello che in realtà è: un grandissimo vino, un
fantastico contenitore liquido di potenza ma al tempo stesso di eleganza, di grandissima
ampiezza ma anche di profonda verticalità.
Un vino mai banale o uguale a sé stesso, che qualche
volta (causa difettucci tecnici imputabili alla mano di chi lo produce) può
anche farti arrabbiare – come capita ai figli intelligenti ma che non hanno
voglia di applicarsi – ma che alla fine non può far altro che conquistarti.
Oltre tutto, l’Aglianico prodotto nell’area che dà
origine al Taurasi è un vitigno multidimensionale, che come solo i grandi sa cambiare
faccia, assumendo forme simili ma al tempo stesso differenti a seconda delle
caratteristiche dei territori da cui proviene. Per tale motivo non è corretto parlare genericamente
di Taurasi, ma è necessario contestualizzarlo a partire dalla zona, se non
addirittura dal Comune, in cui questo grande vino viene prodotto.
Ad esempio, un Taurasi proveniente dalle zone di Venticano
o Pietradefusi - ai confini nord della denominazione e ad un’altitudine di
250-350m sul livello del mare - sarà tendenzialmente differente da uno prodotto
dalle parti di Taurasi (il comune che da cui trae il nome della denominazione) –
ossia nella zona centrale dell’areale e ad altitudine di 350-450m – così come
entrambi i vini saranno ancora differenti da uno proveniente da Montemarano o da Castelfranci,
ai confini sud della denominazione, dove hanno dimora le vigne a maggiore
altitudine del comprensorio (con altezze oscillanti tra 500 e 700m sul livello
del mare).
Io, per una questione di gusto personale, tendo a preferire i Taurasi di quest’ultima zona, perché li ritengo – in genere – maggiormente profondi
e verticali oltre che rustici e sinceri, ma al tempo stesso non posso non
apprezzare anche Taurasi di matrice più elegante e classica (e per certi
aspetti organolettici assimilabili al Barolo) come quelli provenienti da
Taurasi o da Mirabella Eclano.
Quello che però è più importante, è che al di là dei giudizi e delle opinioni soggettive, si tratta comunque di grandi vini, fedeli rappresentanti di un terroir che con i suoi chiaroscuri sa regalare bottiglie di grande fascino e ricchezza, oltre tutto in grado di sfidare – ed in molti casi sconfiggere - il tempo.
Quello che però è più importante, è che al di là dei giudizi e delle opinioni soggettive, si tratta comunque di grandi vini, fedeli rappresentanti di un terroir che con i suoi chiaroscuri sa regalare bottiglie di grande fascino e ricchezza, oltre tutto in grado di sfidare – ed in molti casi sconfiggere - il tempo.
Bonus Track: 3 etichette da non perdere
Taurasi Riserva Radici Mastroberardino: se si vuole scoprire il Taurasi, non si può non partire da qui. L’emblema della
classicità, l’alfiere della rinascita enologica di un intero territorio.
Taurasi Poliphemo Luigi Tecce: energico, vivo e pulsante,
un concentrato di potenza e materia che rifugge ad ogni logica ma che sa essere
fascinoso come pochi
Taurasi Riserva Michele Perillo: austero, profondo e verticale,
ma con un tocco di rusticità contadina che lo rende unico e riconoscibile
Complimenti! Lettura molto interessante che invoglia alla scoperta di questo territorio straordinario 👍🏻👍🏻
RispondiEliminaBell articolo... bella idea publicare anche 3 bottiglie da provare.... Radici, chiaramente già provato, ma le altre no ... grande!!
RispondiEliminaCiao Ago come da te suggerito,su vivino sto navigando sul tuo meraviglioso blog .... questo è l articolo che forse ho apprezzato di più , in quanto son pienamente d accordo con te si lo aglianico... se posso cercherei di valorizzare specie su questi blog la forza di questo vitigno che non è inferiore a quello dei grandi rossi che conosciamo... inoltre come hai ben chiarito il territorio vuole la sua parte e la fa ... questo se lo Irpinia deve essere sicuramente apprezzato e sponsorizzato di più anche da parte dei vignaioli o delle cantine più grandi.... ti posso dire che ho visto spesso solo aumentare i prezzi dei prodotti ma ciò non significa valorizzarli... anche il territorio beneventano e quello del Vulture sono fantastici e non sono inferiori a Montalcino o le Langhe o bolgheri.... cosi facendo pian pianino potremmo confrontarci uscendo a testa alta con Borgogna e Bordeaux.. il Taurasi per me è grande quanto il Barolo o il Brunello....e va pubblicizzato giustamente ...
RispondiEliminaAgo un caro abbraccio da Nico crimor
Carissimo Paolo...il Radici Riserva è un grande classico, che non può mai mancare nella cantina di un appassionato di vino, ma le altre due etichette sono delle eccellenze assolute, chenon puoi non provare. Se ti capitano sotto mano fammi sapere...
RispondiEliminaCaro Nico, innanzitutto grazie mille per i complimenti sul mio blog. Dopo di che, quote le tue tesi, compreso l'elogio degli altri territori in cui l'aglianico viene coltivato (Vulture su tutti) ma soprattutto in merito ad una valorizzazione e/o sponsorizzazione del territorio - da parte dei media ma anche degli stessi produttori - ancora piuttosto migliorabile. Conyinua a seguirci, e grazie ancora per le belle parole!!!
RispondiEliminaBell'articolo Ago! Condivido anche io la preferenza per gli Aglianico dell'Alta Valle rispetto ad altre espressioni pure interessanti come quelle del Vulture. Bella anche la scelta delle tre etichette, potendone aggiungere una una opterei per il Nero Nè o il Gioviano del Il Cancelliere. Salute!
RispondiEliminaManfredi B.
EliminaMi piacerebbe visitare le cantine di quelle zone!! 😍... grazie!
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