I miei territori del Vino
Il vino è il
canto della terra verso il cielo.
(Luigi Veronelli)
(Luigi Veronelli)
Sono da sempre un appassionato di storia e di storie, e
quindi anche nel campo enoico, più che di un divoratore “seriale” di etichette,
di guide e di (relative) votazioni ho guardato – e guardo tuttora - con
maggiore interesse ai territori ed ai produttori che li compongono e
rappresentano.
Mi stanca presto leggere articoli relativi a carrellate
di assaggi, in cui si sparano voti a destra e a manca (per di più generalmente
astronomici e fuori da ogni scala logica) e si descrive un vino come se fosse
solamente un insieme di sentori e di aromi (molti dei quali non ho mai avuto il
piacere di sentire, ed in certi casi non saprei nemmeno immaginare).
Fa figo, questo lo riconosco, perché ogni neofita che
si avvicina al mondo del vino pensa che la capacità più importante da acquisire
sia quella di riconoscere i vini alla cieca e di saperli descrivere con decine
di profumi, quella che – per intenderci – associamo alla figura di sommelier
più o meno competenti (alcune volte al limite dell’improvvisazione) che da qualche
tempo oltre che nei ristoranti abbondano sul web.
Sono capacità che hanno comunque una loro importanza, che
si imparano e che soprattutto si allenano con il tempo e con gli assaggi, ma se
ci si ferma a questo punto è un po’ come conoscere bene una lingua ed il suo
vocabolario senza però essersi mai interessati alla relativa letteratura.
Quella letteratura che è invece rappresentata dai
territori, con le proprie caratteristiche pedo-climatiche e con le proprie
tradizioni (il terroir, per dirlo alla francese che fa sempre figo), quei
territori che sono però legati in maniera indissolubile ai vitigni che
storicamente li rappresentano, a quelle uve che anche se si possono piantare e
vinificare in ogni parte del mondo come per incanto si esprimono al meglio in
questo o in quell’altro fazzoletto di terra.
Come per tante mitiche coppie del cinema, da Stanlio
& Onlio passando per Franco & Ciccio, territorio e vitigno potranno
anche essere bravi interpreti o buoni solisti, ma soltanto quando si ritrovano insieme
– uno al fianco dell’altro - sanno generare quel quid, quella magia che renderli
unici e riconoscibili.
Pertanto, più che parlare di grandi vini o di grandi
produttori (cosa che comunque faccio e continuerò a fare), mi piacerebbe
raccontare – e al tempo stesso raccontarmi - partendo dai territori e dai relativi
vitigni che nel corso degli anni mi hanno dato piacere ed interesse, cercando
di spiegare le motivazioni (tecniche ma soprattutto personali) che hanno
indirizzato le mie scelte.
I vitigni che cercherò di raccontare nei prossimi
giorni hanno alcune caratteristiche comuni, degli aspetti che da soli fanno capire
più tante parole la mia idea di vino: sono tutti italici (in tal caso non per
sciovinismo o per senso di superiorità ma solo per una questione di mia competenza,
seppur limitata, in materia), sono tutti autocnoni (o comunque coltivati da secoli all'interno dei relativi territori), si esprimono al meglio in purezza piuttosto che
in blend con altre uve e – soprattutto – sono tutti vitigni che hanno la
capacità di “sentire” il territorio, ossia di dare vita a vini anche molto
differenti tra loro a seconda della zona in cui vengono prodotti.
Buona lettura!
I miei territori del Vino (1) – l’Irpinia e l’Aglianico
I miei territori del Vino (2) – la Barbagia ed il Cannonau
I miei territori del Vino (3) – le Langhe ed il Nebbiolo
I miei territori del Vino (4) – Montalcino ed il
Sangiovese
I miei territori del Vino (5) –Montefalco ed il Sagrantino
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