Francia vs Italia, le potenze del vino a confronto

 


Ogni qualvolta si parla di vino ai suoi massimi livelli, il riferimento alla Francia ed alle sue etichette mito, ma più in generale a quei territori (Champagne, Bordeaux e Borgogna) che rappresentano il Sacro Graal di ogni bevitore, è scontato oltre che sacrosanto.

Con buona pace di quelli che – probabilmente a digiuno di vini francesi – contestano tale visione, trincerandosi dietro frasi del tipo: “A me lo Champagne non piace. E poi, vuoi mettere con i nostri Franciacorta, che costano la metà e sono buono il doppio?” oppure “I vini di Borgogna? Sopravvalutati ed eccessivamente costosi. Spesso esili, scarichi e senza struttura.”

Come al solito, la realtà è assai più complessa delle frasi fatte o dei luoghi comuni, a prescindere da dove stia la verità, qualora questa esistesse e fosse unica ed inequivocabile.

Ma in ogni caso, è davvero reale e fondata la superiorità del vino d’Oltralpe, oppure si tratta più di che altro di un mito consolidato dal trascorrere del tempo ma che oggi varrebbe la pena sfatare?

Nel seguito dell’articolo ho affrontato alcuni tra i temi che maggiormente differenziano i due più importanti paesi produttori di vino a livello globale, marcandone un confine ancora lontano dall’essere valicato.

Curiosi di saperne di più? Proseguite la lettura…

 

RICCHEZZA AMPELOGRAFICA

Iniziamo con un aspetto in cui noi italiani sia (quasi) imbattibili, quello della ricchezza e della varietà ampelografica.

In Italia la vite è coltivata praticamente ovunque, dai contrafforti alpini valdostani e valtellinesi fino a Pantelleria, in condizioni ambientali e climatiche lontane anni luce tra loro.

Quindi non sorprende il fatto che il nostro sia il paese europeo che offre la più ampia biodiversità vitivinicola, e l’impressionante numeri di vitigni coltivati all’interno del nostro territorio (oltre trecento), talvolta presenti solamente all’interno di determinate microaree, sono la testimonianza di una unicità che potremmo – anzi dovremmo – valorizzare di più.

Al contrario, in Francia la vite ha una diffusione geografica più limitata (anche per oggettivi limiti climatici alla sua coltivazione), ed inoltre sono numericamente inferiori i “microclimi” in cui questa è messa a dimora, con conseguente riduzione delle varietà coltivate.

Ma anche in alcune delle zone in cui storicamente convivevano un numero significativo di cultivar, la capacità francese di guardare sempre verso l’ottimizzazione del prodotto finale ha determinato – nei secoli – l’abbandono di alcuni vitigni a vantaggio di altri decisamente più redditizi.

Si pensi al Malbec o al Carmenere praticamente scomparsi negli uvaggi bordolesi (che per ritrovare la “dignità perduta” sono dovuti emigrare in Sudamerica, divenendo simboli enoici rispettivamente dell’Argentina e del Cile) oppure al Gamay sempre meno diffuso nella natia terra di Borgogna, ed ormai confinato al solo Beaujolais.


PRODUZIONE E FATTURATO

In termini di produzione complessiva, negli ultimi anni l’Italia ha raggiunto (ed in certi casi superato) il gigante francese, ma tendenzialmente i due paesi si equivalgono, intorno ad un valore che si attesta – vendemmia più, vendemmia meno – sui 45 milioni di ettolitri.

Questo però non si è ancora tradotto in un pareggio anche in termini di fatturato complessivo, visto che i vini francesi – mediamente – strappano un prezzo praticamente doppio rispetto ai nostri (circa 6€/litro, mentre noi a fatica avviciniamo i 3€/litro), generando un indotto vicino ai 30 miliardi di euro.

Le motivazioni di tale gap? Molteplici e di diversa natura, anche se probabilmente risiedono in alcuni dei fattori analizzati nel seguito dell’articolo.

 

CONOSCENZE ED ABILITA’ TECNICHE

Inutile prendersi in giro o girarci intorno: qui i francesi ci sono superiori.

Infatti, anche se la coltivazione della vite nella nostra penisola si perde nella notte dei tempi, oltre ad essere certamente precedente al momento in cui cominciò sul suolo francese (visto che furono proprio i Romani ad introdurla in quella che ai tempi era conosciuta come Gallia), è innegabile che se parliamo di enologia moderna i nostri cugini hanno – nel corso degli ultimi due secoli – posto le basi tecnico/scientifiche a cui tutto il resto del mondo si è poi accodato.

Infatti, gli studi portati avanti nel bordolese (sia dagli chateau più importanti e danarosi che attraverso il lavoro svolto dall’università di Bordeaux), ma anche diverse innovazioni/intuizioni riconducibili ad altre realtà enologiche francesi – Champagne e Borgogna su tutte – hanno rappresentato, e rappresentano tuttora, riferimenti assoluti ed indiscutibili sia per quel che riguarda le attività in vigna che in cantina.

Tale “anticipo culturale e tecnologico” si traduce anche nei vini, i quali in Francia – al di là del valore assoluto – mostrano quasi sempre una precisione tecnica ed un equilibrio mirabili.

Aspetto che non sempre – e soprattutto non ovunque – bisogna riconoscere essere proprio dei vini nostrani, che molto spesso mostrano limiti imputabili ad una scarsa conoscenza dei principi di viticoltura ed enologia, anche dove avrebbero possibilità per esprimere risultati fantastici.

Renè Engel, grande produttore di Borgogna, osservando lo stupore di Luigi Veronelli davanti ad un calice del suo meraviglioso Vosne-Romanèe, affermò: “Voi (italiani) avete uve d’oro e fate vini d’argento. Noi (francesi) uve d’argento e vini d’oro”.

Poche parole, che racchiudono e sintetizzano in maniera perfetta i concetti sopra espressi, e con cui non posso che essere d’accordo.


IDENTITA’ DEL PRODOTTO

La cultura del cru e del terroir, ossia di territori capaci di riportare nel bicchiere caratteri identitari ed irripetibili al di fuori di essi, è tipica della viticoltura francesi e dei suoi grandi produttori, che nel corso degli anni ne hanno sublimato questo aspetto (specie in Borgogna), riuscendo addirittura ad andare oltre la riconoscibilità varietale. Ma anche dove questa “specificità territoriale” è meno marcata, i francesi sono stati in grado di creare gerarchie consolidate e facilmente comprensibili dal consumatore. Si pensi ad esempio alla classificazione dei vini del Medoc, datata 1855 (non si tratta di un errore, avete letto bene...).

In Italia, anche se ne discute da tempo, siamo ancora molto lontani da forme di classificazione che evidenzino in maniera immediata ed inequivocabile la piramide della nostra qualità (a meno che si voglia affermare che questa sia realizzata attraverso i marchi IGT, DOC e DOCG), né tantomeno da suddivisioni basate sul concetto di terroir, nemmeno in quelle denominazioni – Barolo e Barbaresco in primis, ma anche Brunello di Montalcino, Etna o Taurasi – in cui questa è nei fatti evidente.

 

RICONOSCIBILITA’ DEL PRODOTTO

I vini francesi, specie quelli più provenienti dalle zone più prestigiose, hanno tendenzialmente mantenuto riconoscibili i loro caratteri identitari, a volte percepiti – e percepibili – addirittura come immutabili o monolitici. Ed anche quando è successo che si siano “adattati” alle tendenze dei consumatori (come nel caso del Bordeaux degli anni ’80/‘90 sotto la spinta dei giudizi del guru Robert Parker) lo hanno fatto in maniera differente dagli altri, quasi come fossero stati loro ad imporre una moda piuttosto che seguirla, rimanendo in ogni caso punto di riferimento per tutti coloro che, in ogni parte del globo enoico, hanno finito inevitabilmente per seguirli.

Il vino italiano, al contrario, ha spesso avuto “problemi di identità”, al punto che anche all’interno delle denominazioni più blasonate ed importanti ci sono state – e continuano tuttora ad esserci – diatribe ideologiche tra fazioni con opposte visioni, che danno l’idea del fatto che, più che esprimere nel vino i caratteri identificativi del terroir da cui questo proviene, si cerchi di “costruire” un vino sulla base del proprio gusto personale, oppure della moda del momento.

Non che questo sia necessariamente un male in termini di qualità assoluta del vino che ne risulta, ma va da sé che difficilmente questo risulterà identificabile e quindi riconoscibile, sia in termini di qualità che di prezzo che il consumatore sarà disposto a spendere per esso.


VALORE ASSOLUTO DEI VINI

Argomento molto ampio, e di non banale ed immediata generalizzazione, anche perché fornire scale di valore assoluto rientra sempre e comunque in un campo soggettivo e personale.

Di certo – al di là delle opinioni personali – c’è davvero poco confronto in almeno due delle quattro categorie in cui di norma viene suddiviso il mondo del vino, ossia spumanti e vini bianchi.

Nel primo caso la profondità e la complessità dei migliori Champagne non trovano pari grado nostrano in grado di avvicinarli, se non in rari e sporadici casi (sia franciacortini che trentini).

Addirittura impietoso, invece, il confronto in ambito bianchista, in cui le migliori espressioni francese (provenienti dalla Valle della Loira, dalla zona di Chablis e soprattutto dalla Cote de Beaune) sono capaci di raggiungere vette di profondità e fascino imparagonabili, se non al limite dell’umana comprensione, vette che i nostri bianchi – anche ai massimi livelli – non avvicinano nemmeno.

In ambito vini dolci, qualcosa invece si potrebbe dire. Infatti, è vero che la Francia è la terra del vino dolce più famoso e blasonato del mondo – il mitologico Sauternes Chateau d’Yquem – capace di rivaleggiare con i meravigliosi Tokaji ungheresi o con gli eterni Porto Vintage, ma anche noi non siamo affatto messi male, sia con le migliori espressioni del Passito di Pantelleria (specie se ottenuti attraverso il metodo “passule”, in cui l’appassimento è naturale e non forzato), che piccole grandi chicche come il Picolit (senza dubbio il miglior vino muffato italiano) o la Malvasia di Bosa, capaci di regalare assaggi di inusitata complessità, armonia e piacevolezza.

Infine, l’argomento vini rossi, l’unico in cui possiamo realmente giocarcela alla pari (o quasi), sia in termini di picchi assoluti che di densità di grandi interpreti. Certo, i miti del vino d’Oltralpe (soprattutto i più grandi Grand Crus della Cote de Nuits) riescono a strappare prezzi che i nostri vini possono solo sognare, ma anche all’interno del nostro paese ci sono etichette di valore inenarrabili, autentici giganti dell’enologia capaci di battagliare senza timore reverenziale – per forza, profondità, eleganza e longevità – con i migliori rossi di Borgogna, Bordeaux e Rodano.

 

RAPPORTO QUALITA’ / PREZZO

Tendenzialmente si potrebbe dire che in quest’ultimo campo – molto caro agli appassionati sprovvisti di portafoglio senza limiti – i vini italiani siano superiori, ma nella realtà non è proprio così, o meglio tale affermazione non è vero in assoluto.

Certo, è incontestabile il fatto che in alcune zone d’Italia – quelle baciate dal Sole e dalla luce – sia possibile produrre etichette di ottimo valore anche in una fascia prossima ai 10-15€, cosi come che in alcune zone francesi – di norma quelle a ridosso delle denominazioni più importanti, per bere bene occorra spendere cifre anche piuttosto importanti.

Ma, esclusi questi casi limite, le due realtà sostanzialmente si equivalgono, aspetto testimoniato dal fatto che non solo in Italia ma anche in Francia – al di fuori delle zone a maggiore tradizione – non è impossibile trovare vini eccellenti a prezzi accessibili, cosi come cercando bene, anche in aree nobilissime (tipo lo Champagne) si possono scovare piccole realtà di valore assoluto senza sborsare cifre esorbitanti.

Riassumendo, la Francia del vino conserva ancora oggi una posizione di vantaggio e superiorità, dovuto ad una concausa di fattori quali conoscenze tecniche, capacità di fare squadra, abilità commerciali ma anche presenza di alcuni terroir unici e irripetibili.

Sapremo con il trascorrere dei decenni colmare questo gap?

Citando Manzoni, “Ai posteri l’ardua sentenza”.

Commenti

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    1. Allora non ci resta altro da fare che incrociare le dita, cara Bianca!

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  2. Stupenda e soprattutto esaustiva ed esauriente carrellata di caratteristiche, confronti e paragoni fra la viticultura francese e quella italiana. Condivido veramente ogni aspetto a livello generale e penso che la definizione, da te riportata, "uve d'oro e vini d'argento..." rispecchi bene la realtà anche se ultimamente stanno sempre più venedo fuori in italia vini d'oro.
    Importante è continuare a mantenere la nostra identità fatta dalla nostra tradizione e cultura, dai nostri milioni di micro terroir e dalle nostre infinità di uve, senza scimmiottare i cugini d'oltr'alpe che forse sono ancora su certe eccellenze al top ma la fantasia e le potenzialità che abbiamo noi se le sognano...

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    1. Non posso che ringraziarti caro Michele. Leggere commenti come il tuo mi dà ulteriore stimolo per ampliare le mie conoscenze, giorno dopo giorno, assaggio dopo assaggio, articolo dopo articolo.

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  3. Articolo molto esaustivo, una cosa che non tutti i produttori ancora hanno è raccontare una storia dietro ad un vino, il fascino della storia di un vino già lo fa vendere senza troppi problemi e i francesi in questo sono dei maestri, a presto grande😉

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    1. Non posso che allinearmi con le tue parole caro Alessio. Al di là dei campanilismi, la capacità dei francesi di fare gruppo e valorizzare le proprie peculiarità è sacrosanta, oltre che sarebbe da prendere a riferimento.

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  4. Assolutamente d'accordo con questo articolo e i suoi dettagli; forse meno sulle conclusioni generali, in quanto per me la biodiversità ha un valore importante, non soltanto in potenza quanto nella pratica attuale in quanto preferisco sperimentare vista la mia curiosità e piacere nel variare (nonché disponibilità economica relativa). Certo sono superiori per vari aspetti, come tu hai spiegato, ma tutto sommato tra le nostre unicità, questa mia inclinazione e il tema rqp non vedo un vantaggio tout court in conclusione. Diciamo che siamo fortunati che esistano le loro eccellenze, le nostre potenzialità e i nostri (viti)cultori di varietà!

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    1. Bellissimo articolo comunque! Ancora complimenti

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  5. Anch’io ti faccio i miei complimenti per l’articolo stupendo, hai toccato tantissimi punti, ma non sono d’accordo su alcune cose 😇😇😂😂. Come al solito! ...
    mi è capitato di assaggiare qualche vino Pino noir della Borgogna Marsannay-Fixin ecc Belli, buoni, certo sto parlando di al massimo 70 € bottiglia (senza andare sulle centinaia di euro) ... dicevo, belli, buoni, sembrano lo scolaretto perfetto, ma dire che mi sono emozionato è una parola grossa… Vini perfettini eleganti, ma tutto questo è pura tecnica... ( ovviamente sto parlando di gusti personali) ... invito ad assaggiare un Pinot nero di Bressan o uno Schioppettino di Ronco severo, rispecchiano il territorio , emozionano non uscendo forse perfettini e soprattutto con 50€ te la cavi alla grande.... poi ... non ho finito... 😂😂....
    Per quanto riguarda lo champagne, è il vino forse più costruito al mondo , il suo territorio è stato sfruttatissimo, tante vero che ultimamente bisognava sia acidificare il mosto che zuccherarlo, poiché il terreno era bruciato da tutta la chimica usata, certo i produttori di champagne mai ti diranno queste cose… Tanto poi con la Liqueur si mette apposto tutto... il DOM PERIGNON Che fa milioni di bottiglie tutte di altissima qualità e prezzo, viene prodotto non specificando neanche i vigneti d’origine e questo fa sembrare tutto avvolto in una nube misteriosa....
    Ho finito per fortuna… Non prendertela se sono un po’ contro le tue idee , anzi brindiamoci sopra carissimo 🍾🥂🍷....
    E sempre i più miei complimenti!!!!

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