I solfiti nel vino: problema reale o pura percezione?

Da un po’ di tempo, causa i motivi ormai noti anche ai sassi, manco da eventi vinosi e degustazioni varie, ma ogni qualvolta che vi ho partecipato – in un passato più o meno recente – uno degli argomenti più gettonati e ricorrenti ai banchi di assaggio è stato senza dubbio quello dei solfiti.

Un argomento da tempo al centro del dibattito enoico, ma che in occasioni di eventi “del settore” (Vignaioli Naturali e Vinnatur, per citarne un paio..) è in grado di raggiungere vette per me impensabili, al punto che più volte ascoltando dibattiti e discussioni a dir poco surreali mi è venuto da pensare che un sacco di gente, più che godersi il vino ed apprezzarne (o meno) le qualità, fosse più interessato a sapere l’esatta quantità di solforosa presente nelle etichette che beveva.

D’accordo, mi piace scherzare e ridere di certi atteggiamenti al limite della psichiatria umana, ma tornando seri e soprattutto prima di prendere posizione in merito credo sia importante fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

Anche perché se non si mette a fuoco la questione, si finisce per farne un tema puramente ideologico, correndo fortemente il rischio di assumere atteggiamenti “talebani” che come al solito non portano da nessuna parte se non a scontrarsi contro un muro.

Venendo quindi a noi, COSA SONO I FAMIGERATI SOLFITI, E PERCHÉ LI RITROVIAMO NEL VINO?

Sono un gruppo eterogeneo e vasto di composti, usati in ambito alimentare con la funzione principale di conservanti, al fine di contrastare l’ossidazione dei cibi e prevenire lo sviluppo microbico indesiderato. In presenza di una certa concentrazione (superiore ai 10mg/litro) è obbligatorio riportarne l’utilizzo in etichetta, mediante l’ormai nota dicitura “contiene solfiti”.

Da quanto detto, si capisce quindi che tali composti, oltre a essere presente nel vino “imbottigliato” sono quindi presenti in più o meno ogni prodotto alimentare confezionato.

Nel vino – che già di suo contiene solfiti “naturali” indotti dalla fermentazione alcolica – si utilizza quasi esclusivamente l’anidride solforosa, con lo scopo di bloccare le fermentazioni indesiderate e le reazioni di ossidazione, e dunque, nella sostanza, per meglio stabilizzarlo e renderne sicura la commercializzazione.

Volendo dare qualche numero a riguardo, la quantità di solfiti presenti nei vini “industriali” varia in un range compreso tra i 30 ed i 250mg/litro, risultando di norma inferiore nel caso dei vini rossi (in quanto i polifenoli ed i tannini presenti nelle bucce svolgono un’azione anti-ossidante naturale), aumentando un po’ di più per i vini bianchi e finendo per raggiungere i valori più elevati in corrispondenza dei vini dolci e degli spumanti.

Tali quantità – sulla base degli studi scientifici effettuati - non sono però tali da determinare problemi importanti sul nostro organismo (a meno che ci sia qualcuno di voi che sia avvezzo a bere un bottiglia di Sauternes al giorno…), se non il canonico mal di testa del giorno dopo o qualche effetto “collaterale” che può verificarsi su soggetti asmatici.

Ma allora, se i solfiti sono presenti in migliaia di prodotti che quotidianamente mangiamo, e se le loro quantità, seppur non trascurabili, non sono tali da generare problemi di salute (o quantomeno, qualora ci fossero effetti, sarebbero comunque infinitesimamente inferiori a quelli prodotti dall’alcol presente nel vino), PERCHÉ NE PARLIAMO COME FOSSE UN TEMA CENTRALE DELL’UNIVERSO ENOICO?

La ragione è quasi esclusivamente di carattere etico, e si lega, inevitabilmente, al fiorire, specie in questi ultimi anni, di svariati gruppi di produttori che – sotto varie sigle (a volte anche poco comprensibili) fanno riferimento ad un modo di intendere il vino quasi arcaico, libero dalla chimica e da ogni forma di trattamento, in vigna così come in cantina.

Tale visione etico/filosofica – che affonda le sue radici comuni nei principi della biodinamica – è ad oggi “sentita” quasi esclusivamente in Europa (soprattutto in Italia e Francia), mentre nel resto del Mondo – per molti aspetti indietro in termini di sensibilità e consapevolezza enologica – è certamente meno considerata.

Da parte mia, pur apprezzando e non poco i piccoli produttori e le loro modalità di lavoro per così dire “artigianali” faccio davvero molta fatica a seguire certe derive ideologiche, non perché sia contrario ad un modo più naturale di intendere il vino, ma perché le ritengo marginali all’interno di un discorso ben più ampio ed importante, del quale purtroppo si parla invece meno: LA DIFESA E LA PRESERVAZIONE DEL TERRITORIO E DELLE TRADIZIONI CHE ESSO ESPRIME.

 

Per fare un esempio, ha più importanza che il produttore X utilizzi o meno una certa quantità di anidride solforosa nei vini che imbottiglia oppure che in alcune aree enologiche venga fatto un utilizzo spasmodico di pesticidi, o che il territorio di Langa  sia stato convertito alla monocoltura, inserendo vigneti anche nei fondovalle, in posti che in cui gli anziani non avrebbero piantato nemmeno un noccioleto?

Sarebbe quindi ora che – anziché accapigliarci per i dettagli (ed il discorso dei solfiti è uno di questi…), addetti ai lavori e soprattutto appassionati ci unissimo tutti, pretendendo che si smetta di cancellare – in nome del profitto – i luoghi e le tradizioni della nostra enologia.

Probabilmente faremmo un servizio migliore a noi stessi, alla nostra storia, al nostro passato ma soprattutto alle generazioni future.

Commenti

  1. Concordo. Quelle poche volte che ho assaggiato vini "naturali" mi sono sentita male. Per quanto mi riguarda w i solfiti

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    1. Ci sono anche tanti produtti per così dire "naturali" che lavorano davvero bene, e che fanno vini di grande quaslità e rigore tecnico. Concordo però sul fatto che un vino - a prescindere dalla metodologia/filosofia alla sua base - debba essere esente da difetti evidenti.
      Un abbraccio cara Bianca, e grazie mille per aver letto e commentato il mio articolo!

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  2. Ci sono vini naturali, e vini naturali… Adesso è un periodo che mi sono avvicinato al mondo degli Orange... Bianchi macerati, senza utilizzo di Lsa.. vini Bianchi di 10-20 anni ancora in ottimo stato e fatti in regime naturale, ma non in biodinamica ... E devo dire che sono rimasto meravigliato da molti produttori soprattutto friulani. .... tutto questo per dire che alla fine il vino Deve essere bevibile e non presentare puzzette varie , se produci vini senza solfiti, che puzzano io mi farei due domande… Come fai ad accompagnare un piatto prelibato con un vino che puzza… Come disse Mojo sarebbe come mangiare delle ostriche in discarica .... Per fare un vino senza solfiti, occorre che le uve siano perfettamente integre sane con una grande concentrazione di polifenoli , E che possono anche dare un certo grado alcolico perché anche l’alcol fa da conservante…ecc
    Certo come hai detto bene tu nessuno si domanda quando mangia dei gamberetti quanti soffitti ci siano dentro, oppure una maionese… robe da pazzi...
    Sono obbligatori in etichetta in quanto allergeni… Io metterei l’obbligo di mettere in etichetta sul vino anche altri prodotti, che sono legali ma vengono sempre omessi, sto parlando di aromatizzanti, tannini ecc oramai l’industria enologica può vantare tanti di quei prodotti per la sofisticazione che solo un enologo può immaginare i consumatori no, e questi non sono riportati in etichetta

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    1. Salute carissimo Paolo! Concordo in toto con te, ed il mio non voleva essere un articolo contro la filosofia "naturale", bensì contro le derive estremiste, che portano sempre alle divisioni in fazioni, e di conseguenza a perdere il pinto di vista oggettivo delle cose.
      Concordo anche sul fatto che la quantità di solfiti andrebbe indicato su ogni etichetta alimentare (vino compreso), ma in tal caso apriremmo tutta un'altra questione.
      Un abbraccio, e alla prossima!

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  3. Nel tuo interessante post ho ritrovato, pari pari, i temi del più ampio confronto (scontro) tra agricoltura biologica e (o vs) convenzionale., che seguo soprattutto in cerealicoltura.
    È andata maturando in una percentuale significativa di consumatori una preferenza verso i prodotti da agricoltura biologica, e ciò trovo sia, al di là delle preferenze, apprezzabile anche solo se vista come opzione ormai perseguibile in ogni punto vendita strutturato. A mio avviso però il biologico deve restare in un ambito minoritario, non foss'altro che in ragione della necessità di incrementare le rese produttive, per via del contemporaneo calo delle superfici agricole e della crescita della popolazione, mentre sappiamo che tale pratica riduce drasticamente le rese. Mi sento inoltre di poter dire che un uso oculato e non indiscriminato di fitofarmaci sia del tutto compatibile con gli standard di salubrità dei prodotti che i consumatori richiedono. Ritengo tale punto di vista valido anche sul tema specifico che hai sollevato.

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    1. Grazie mille caro Alessandro! Fa sempre piacere sapere che le proprie opinioni, oltre ad essere ascoltate da persone che hanno la mia stessa passione, sono anche condivise.
      Che dirti...continua a seguirci ed a commentare gli articoli del blog!

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  4. Tema veramente interessante e che può accendere un dibattito eterno...come dici tu ci sarebbero altre cose da salvaguardare prima di discutere di qualche solfito, come la difesa delle tradizioni e di certi disciplinari modificati solo per puro profitto...tornando al tema io sono per una agricoltura sostenibile senza nessun estremismo alcuno...

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    1. Parole sante le tue caro Gabriele! hai centrato perfettamente il punto che volevo mettere in evidenza. D'accordo il rispetto delle normative e della salute, ma il tema da affrontare - e di cui invece spesso si dimentica - è tutt'altro.
      Un abbraccio, oltre che un ringraziamento per aver letto e commentato l'articolo.

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  5. Qui di seguito un commento che reputo di un qualche interesse

    WineMag.it – Giornale italiano, Guida vini e news
    “Vino naturale? Terroir e ossidazione non possono convivere”. Parola di Luigi Moio
    Autore articolo
    Di Davide Bortone
    Data dell'articolo
    16 Dicembre 2020

    “I produttori di vino naturale devono essere chiari: terroir e ossidazione non possono convivere nello stesso vino”. Parola del professor Luigi Moio, intervenuto ieri in occasione del webinar “Natural Wines: Beyond the Philosophy” organizzato dall’Oiv, l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino.

    “A meno che non sia ricercata, come nel caso dei vini fortificati come il Madeira, l’ossidazione è un difetto dei vini. La questione è molto semplice – ha sottolineato il professore ordinario di Enologia dell’Università degli Studi di Napoli – se un produttore sostiene di produrre ‘vini di terroir‘, deve cercare la purezza, intesa anche come assenza di ossidazione, in modo che le qualità del ‘terroir’ si esprimano appieno, senza distorsioni, in occasione dell’analisi sensoriale del vino”.

    L’ossidazione è un processo di deteriorazione ed è una caratteristica positiva solo quando ricercata, nei cosiddetti vini ossidativi: solo a quel punto diviene una questione di gusto e consente al consumatore di scegliere ciò che lo aggrada”.

    Il professor Luigi Moio ha poi chiarito quale può essere, a suo avviso, la strada per il futuro dei vini naturali. “Per produrre un grande vino naturale occorre un background in scienze come la biochimica, oltre che di enologia. Non si può lasciare che le cose avvengano solo spontaneamente. Il futuro dei vini naturali è questo”.

    Il webinar sul tema dei vini naturali è stato organizzato dall’Oiv con l’intento di “sondare un argomento non ancora del tutto esplorato a livello internazionale, senza tuttavia prendere posizioni favorevoli o contrarie al movimento”.


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  6. Il giusto sta sempre nel mezzo, niente integralismi e niente demonizzazioni. Ma va accettato che talvolta, un vino eccellente, può anche accogliere qualche solfito in più. Dopodiché...liberi di scegliere.!

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