I miei territori del Vino (3) – le Langhe ed il Nebbiolo
“Il Barbaresco è il vino delle
migliori serate della tua vita, non ti
tradirà mai;
ma per l’ultima notte della tua esistenza, ci vuole un
Barolo”
(Anonimo Produttore di Langa – cit. tratta da
“Elogio dell’Invecchiamento” di Andrea Scanzi)
Una famosa pubblicità di qualche tempo fa recitava: “ci sono cose che non puoi comprare, per tutto il resto c’è Mastercard”. Ecco, ammirare e godere il panorama di Langa seduti su un muretto del Castello di Grinzane Cavour – specialmente a ridosso del periodo di vendemmia - è senza ogni dubbio una di quelle.
Colline sinuose che si alternano una dopo l’altra,
fondendosi all’orizzonte come fossero un unico corpo, ma soprattutto vigneti
perfettamente curati che si estendono a perdita d’occhio, facendo capire a coloro
che se li si ritrovano davanti chi è il l’unico vero ed
incontrastato re di Langa: il vino.
Parlare di Langhe e di vino è storia lunga e complessa,
che affonda le sue radici diversi secoli orsono, che nel corso dei tempi ha
riguardato principi, re, marchesi, conti, presidenti e senatori, in parole
povere tutto il gotha della nobiltà e dei potentati del nostro belpaese.
Bartolo Mascarello |
Ma è anche e soprattutto, una storia contadina, di
persone, di anziani e grandi maestri (come Bartolo Mascarello e Bruno Giacosa) e
di giovani visionari (i famosi o famigerati Barolo Boys), che per decenni hanno
vissuto in povertà senza per questo perdere la propria anima, ma che anzi hanno
saputo riversarla all’interno dei loro vini, all’inizio prodotti solo per
autoconsumo, poi per la distribuzione a terzi e solo infine imbottigliati per
proprio conto.
Langhe – territorio eterogeneo e ricco di tante anime -
e vino, hanno però un unico comune denominatore, che come un grande elastico
lega tutto e tutti, riconducendoli verso uno stesso punto: il Nebbiolo.
Bruno Giacosa |
Vitigno che “ama lavorare come solista”, difficile sia da
coltivare che da vinificare, a maturazione piuttosto tardiva e diffuso in varie
altre zone del Piemonte - con anche qualche sporadico sconfinamento oltre
confine (Valtellina) - che trova però in questo splendido angolo di belpaese, ed
in particolare nella sua zona “bassa”, la cosiddetta Langa “albese”, le
condizioni e quel pizzico di magia per dare vita a due dei più grandi vini
della penisola italica: il Barolo ed il Barbaresco.
Due vini grandissimi e leggendari, che a me, amante delle
definizioni, ricordano un po’ il re e la regina degli scacchi ma al tempo
stesso della nostra enologia nazionale.
Beppe Rinaldi |
Il Barolo è serio, austero, poderoso, a volte
addirittura intrattabile (specie in giovane età), con acidità importante e
tannini generalmente fitti e poderosi. Alcuni - scherzando ma fino ad un certo
punto – affermano che un grande Barolo è un vino che non è mai pronto.
Insomma, un vero maschio, orgoglioso del suo status di
capo e che non fa nulla per nasconderlo.
Il Barbaresco, invece, è più suadente e composto, riuscendo
a risultare generalmente più piacevole in gioventù, pur mantenendo i
caratteri varietali e le caratteristiche tipiche del grande vino da
invecchiamento.
Angelo Gaja |
Ha quindi le sembianze della perfetta nobildonna, in
grado di ammaliare chi gli si para davanti senza per questo rinunciare al
proprio carattere ed al proprio ego.
E’ anche però evidente che, all’interno delle
rispettive denominazioni esistano innumerevoli versioni e/o sotto-tipologie, in
ragione di terreni di natura diversa,
altitudini anche significativamente variabili e –
soprattutto – filosofie produttive (ma al tempo stesso di vita) molto eterogenee
tra i vari produttori.
C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, che rende questa
zona quasi un unicum all’interno del panorama enologico italiano, accumunandola
in questo alla Borgogna: la notevole caratterizzazione del vino in base ai
differenti sottozone - o “crus” - di appartenenza dei vigneti.
Come accade nella già citata Borgogna, anche in Langa
vigneti molto vicini dal punto di vista geografico – anche appartenenti allo
stesso produttore – danno luogo a vini piuttosto lontani e differenti tra loro,
in grado di marcare profondamente il terroir di provenienza e per questo essere
riconoscibili (oltre che estremamente ricercati) dagli eno-appassionati.
Entrando maggiormente nel dettaglio, i comuni in cui
questi due grandi vini possono essere prodotti – ed i relativi crus – sono molti,
ma volendo fornire un’indicazione di massima sulle caratteristiche del prodotto
finale in funzione del luogo di provenienza, si può dire che:
-
il Barolo prodotto nel comune che dà il nome alla
denominazione è generalmente elegante, composto ed abbastanza godibile già in
gioventù (quindi tendente ad assomigliare ad un Barbaresco). Il cru più famoso
all’interno del territorio comunale è senza dubbio Cannubi, cru storico della
denominazione - ma anche Sarmassa e Brunate (quest’ultimo condiviso con il
comune di La Morra) sono molto quotati
-
il Barolo prodotto nel territorio di Serralunga d’Alba
è tendenzialmente austero, potente, con tannini molto marcati specie in
gioventù e grande predisposizione all’invecchiamento. I crus più rinomati
all’interno di questo comune sono Francia (dove sono posti i vigneti utilizzati
per produrre il leggendario Barolo “Monfortino”), Vigna Rionda e Lazzarito
-
Il Barolo prodotto a Monforte d’Alba è un po’ una
via di mezzo tra le due tipologie descritte in precedenza, mostrando quindi
importante struttura e longevità ma al tempo discreto equilibrio e piacevolezza
in gioventù. Il cru più noto ed apprezzato di questo comune è senza ombra di dubbio
Bussia
-
Il Barolo prodotto nel comune di La Morra è
generalmente più espressivo e piacevole in gioventù, fine e definito nei
profumi ma al tempo stesso meno strutturato e meno predisposto
all’invecchiamento. I crus più quotati qui sono Monfalletto e Cerequio, oltre
allo stesso Brunate già citato in precedenza e condiviso con il comune di
Barolo
-
Il Barbaresco prodotto all’interno del comune
omonimo si caratterizza generalmente per eleganza, finezza ed importante
propensione all’invecchiamento. I suoi crus più famosi sono quelli storici
della denominazione, ossia Asili (che dà luogo a vini estremamente complessi,
profondi e longevi, anche se spesso monolitici in gioventù), Rabajà (in grado
di regalare vini suadenti ma al tempo stessi estremamente equilibrati ed
eleganti) ed infine Martinenga (che ha la peculiarità - se non erro unica
all’interno del territorio di Langa – di essere quello che i nostri cugini
d’oltralpe definiscono “cru monopole”, ossia appartenente per il 100% ad una
sola azienda)
-
Il Barbaresco prodotto nel comune di Neive, si
caratterizza infine per potenza, corpo e per il saper essere lineare e diretto,
specie in gioventù. I suoi crus più famosi sono senza dubbio Gallina ed
Albesani.
I miei crus del cuore, poiché in un Barolo o in un
Barbaresco tendo a ricercare eleganza, definizione e profondità più che
ampiezza e potenza, sono probabilmente Cannubi per il Barolo e Rabajà per il
Barbaresco, ma in questo caso ce n’è davvero per tutti i gusti, ed ogni
appassionato di vino ha le sue sottozone preferite o i suoi produttori di
riferimento.
Quello che però è fuori discussione, al di là delle
innumerevoli interpretazioni e degli stili produttivi, è il fatto che la storia
delle Langhe del vino rappresenta un mirabile esempio di riscatto sociale di un
intero territorio.
Un territorio che, grazie alla tenacia, alla
perseveranza, per certi versi anche alla cocciutaggine delle persone che hanno
contribuito a questa storia, oltre che all’aiuto di madre natura, è riuscito in
pochi decenni a invertire la rotta del proprio destino, trasformando una zona
agricola depressa in un vero e proprio fiore all’occhiello della viticoltura e
dell’enoturismo non solo italiano ma internazionale, senza per
questo rinnegare – quantomeno nella maggioranza dei suoi interpreti – le
proprie tradizioni ed i propri valori.
Bonus Track: 3 etichette da non perdere
Barolo Cannubi – Serio & Battista Borgogno. Elegante, molto definito ma al tempo stesso con grande struttura, oltre che carattere (e soprattutto tannino…) da vendere. Una piccola azienda che lavora davvero molto bene.
Barbaresco Rabajà – Giuseppe Cortese. Uno dei must have della denominazione, del quale non ci si può non innamorare una volta che lo si assaggia. Vino di grande pulizia ed avvolgenza ma al tempo stesso robusto e deciso, con potenziale evolutivo (specie nelle migliori annate) davvero super.
Barolo Lazzarito Riserva – Ettore Germano. Un gigante, un vino dal carattere impetuoso, dal corpo e dalla forza imponenti, che però anno dopo anno è in grado affinare e smussare gli spigoli, divenendo sempre più elegante e profondo.
Ciao Ago credo che tua abbia detto gia tanto su questo territorio, e i grandi che fanno il vino hanno detto forse tutto ... a me personalmente quel territorio piace e sanno fare il vino in particolare il nebbiolo come l aglianico da noi, pero lo valorizzano di più e adesso i grandi sono troppo lontani ma il piccolo produttori non si fanno mancare niente cioè viaggiano forte ... mentre da noi il piccolo è sempre lontano .... nelle Langhe ci sono cascine piccole ma che hanno qualità da vendere basta scoprirle, un esempio a roddi o a serralunga che amo particolarmente specie per i vigna rionda e i gabutti.....con questo anche il roero non è da dimenticare è pur sempre nebbiolo...Ciao Nico...
RispondiEliminaSalute carissimo Nico Crimor! Grazie mille per tutto! Concordo con il fatto che in Langa sono riusciti a valorizzare meglio i loro prodotti di eccellenza rispetto a come hanno saputo fare altri territori. Approfondirò i vini di Serralunga, Vigna Rionda in primis... Continua a seguirci e a commentare!
RispondiEliminaBella descrizione delle Langhe e interessante confronto tra due grandissimi vini. Grazie Ago e complimenti!!
RispondiEliminaGrazie mille a te carissimo Umberto! Non posso dirti altro che continuare a seguirci e commentare i nostri articoli!
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