Elogio (fuori moda) del vino di cantina
Nel piccolo mondo degli appassionati bevitori si usa
suddividere i vini (e coloro che il producono) in due categorie, che alla fine finiscono
per trovarsi in una contrapposizione forzata, come fossero Bianco contro Nero,
oppure Indiani contro Giacche Azzurre.
Da una parte ci sono i vini industriali, ossia prodotti
da aziende grandi, importanti ed in alcuni casi anche prestigiose, che danno
vita ad etichette con tirature piuttosto elevate (in alcuni casi di diverse centinaia
di migliaia di bottiglie l’anno).
Io amo definirli “vini di cantina”, perché generalmente sono frutto di assemblaggi di enormi vigneti sparsi all’interno delle denominazioni di origine, tendono ad essere piuttosto addomesticati anche se quasi sempre ben fatti e soprattutto sentono pochissimo (se non per nulla) l’annata, risultando sempre uguali a sé stessi di anno in anno.
Io amo definirli “vini di cantina”, perché generalmente sono frutto di assemblaggi di enormi vigneti sparsi all’interno delle denominazioni di origine, tendono ad essere piuttosto addomesticati anche se quasi sempre ben fatti e soprattutto sentono pochissimo (se non per nulla) l’annata, risultando sempre uguali a sé stessi di anno in anno.
Dall’altro lato della barricata si trovano invece i
vini artigianali, frutto del lavoro di piccoli produttori e generalmente tirati
in quantità molto limitate.
Io amo chiamarli “vini di vigna”, perché vengono caratterizzati in maniera molto significativa del terroir da cui provengono e – inevitabilmente – finiscono per risentire delle condizioni dell’annata in cui sono stati prodotti.
Io amo chiamarli “vini di vigna”, perché vengono caratterizzati in maniera molto significativa del terroir da cui provengono e – inevitabilmente – finiscono per risentire delle condizioni dell’annata in cui sono stati prodotti.
In questa contesa tra Davide e Golia, tra bene e
male, il consumatore “novizio” tende generalmente ad apprezzare di più i
primi, più confortevoli, ammalianti e meno impegnativi, mentre il
consumatore più esperto e smaliziato, l’enoappassionato più o meno strippato,
preferisce senza ombra di dubbio i secondi, finendo con il considerare i vini industriali una sorta di “diavolo in bottiglia”.
In altri post credo di aver chiarito in maniera
abbastanza evidente quale sia la mia “squadra del cuore”, dato che amo i vini
di territorio e che tra le mie etichette preferite ci sono per la stragrande maggioranza
bottiglie provenienti da singoli vigneti, ma al tempo stesso la mia onestà
intellettuale non mi impedisce – quando ci sono le condizioni – di difendere ed
apprezzare vini definibili come “industriali”.
Un esempio l’ho avuto qualche sera fa, quando per
accompagnare un’eccellente spezzatino cucinato da mia moglie ho deciso di
prelevare dalla mia cantina ed aprire uno Chateau des Laurets 2014, un Bordeaux prodotto dall’azienda Baron de Rotschild all’interno della denominazione di
Puisseguin- Saint Emilion.
Un vino che ha tutte le caratteristiche per essere mal visto ed assai poco apprezzato dagli eno-appassionati: è un taglio bordolese con netta prevalenza di Merlot (il vitigno più odiato dagli amanti del vino), è prodotto da un’azienda-holding che vanta proprietà in ogni più sperduto angolo del globo enoico, le sue uve provengono da vigneti molto estesi, ed infine viene affinato in barrique nuove.
Un vino che ha tutte le caratteristiche per essere mal visto ed assai poco apprezzato dagli eno-appassionati: è un taglio bordolese con netta prevalenza di Merlot (il vitigno più odiato dagli amanti del vino), è prodotto da un’azienda-holding che vanta proprietà in ogni più sperduto angolo del globo enoico, le sue uve provengono da vigneti molto estesi, ed infine viene affinato in barrique nuove.
Ok, non è né sarà mai il “mio vino”, quello in cui
percepisci una vitalità ed un’energia quasi umana, quello in grado di farmi
fermare a riflettere sui significati stessi dell’esistenza, ma è senza ombra di
dubbio un’etichetta di livello, confezionata molto bene ed estremamente
equilibrata e piacevole.
Un vino da bere più che da degustare, pensato per
sedurre ed ammaliare colui che se lo ritroverà di fronte, ma che ha fatto la
sua figura anche su una tavola di un bevitore “pseudo-evoluto” come me.
Chateau
des Laurets Puisseguin-St.Emilion 2014
Giudizio personale: 88/100
Uvaggio: 80%Merlot, 20%Cabernet Franc
Affinamento: 16 mesi in barrique di rovere francese
nuove
Fascia di prezzo: 18-25€
DEGUSTAZIONE
👀 Rubino luminoso, molto intenso
👃Molto pulito, intenso, fine e di
buona complessità, anche se con un’impronta ammaliante che tende alla
ruffianeria. Vaniglia, cipria, amarena, note erbacee/di rovo, leggera
liquirizia, nota fungina/idrocarburica in sottofondo
👄Di buon corpo e piacevolezza, fresco
e sapido ma ben equilibrato da morbidezza e calore alcolico. Tannino leggero.
Media persistenza, finale coerente in cui ritorna la frutta oltre a delle
sfumature caldo/speziate
Bella riflessione su 2 mondi davvero diversi e su 2 filosofie agli antipodi. Posso apprezzarli entrambi, ma romanticamente scelgo la vigna��
RispondiEliminaUna caro saluto,
Daitarn3
...e poi ci sono i vini eccellenti (anche nel prezzo) che si spera di avere la fortuna di degustare ogni tanto...ottima riflessione! Complimenti!
RispondiEliminaComplimenti innanzitutto per il bellissimo blog. La ricerca dei vini di vigna, come ami chiamarli, ha creato un vero movimento con la creazione di manifesti, eventi, marchi e altro ancora. Un movimento trasversale che a mio avviso non diventa mai vera e propria contrapposizione ma è semmai un'ulteriore e stimolante oggetto di confronto che unisce anziché dividere gli appassionati di vino.
RispondiEliminaSalute carissimo Daitarn3. Ogni appassionato che si rispetti non può che preferirei vini di vigna a quelli di cantina, ma al tempo stesso è giusto riconoscere la qualità del prodotto - quando evidente - a prescindere dalla filosofia produttiva dell'azienda. 👋👋👋
RispondiEliminaGrazie mille cara Binga Sommelier! Non posso fare altro che condividere e invitarti nuovamente a seguire il blog e commentare i nostri articoli.
RispondiEliminaGrazie mille per i complimenti caro Thanks God it's Friday. Concordo in parte con la tua opinione, perché al di là di come dovrebbe essere in linea "ipotetica" molto spesso scelte produttive e filosofie differenti anziché essere occasione di confronto e crescita per tutti diventano terreno per divisioni dapprima ideologiche e poi personali... Salutoni e arrivederci sul blog! Continua a seguirci e a commentare i nostri articoli! 👋👋👋
RispondiEliminail mondo è bello perchè è vario,ed è così anche per il mondo del vino, personalmente ho sicuramente una preferenza per i vini di Vigna che definerei meglio Terroir, ma ci sono ottimi vini di cantina, (come definire un Krug se non vino di cantina, e poi...), io sintetizzerei così, viva il vino buono con una preferenza alla vigna. Mauro.it
RispondiEliminaSono allineato al 100% con te caro Mauro, e spero che il mio articolo abbia ben espresso il mio pensiero. Tra due grandi vini preferirò sempre quello "di vigna" a quello "di cantina", ma questo non significa che ci possano essere vini grandiosi (in Italia mi vengono subito allamente Sassicaia e Tignanello, ma ce ne sono molto altri) pensati e prodotti in un'ottica più industriale...
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