Vigna Monticchio, mito rimasto umano

Settimana scorsa, in un articolo del sempre grande Daniele Cernilli alias DoctorWine, si faceva riferimento ai prezzi ormai siderali raggiunti dalla stragrande maggioranza dei vini top di gamma, francesi ma anche italiani, causati da un mercato in molti casi fuori di testa ma anche – ed in alcuni casi soprattutto – da ricariche a dir poco criminali operate dai grossisti che li acquistano in anteprima (oltre che in regime di monopolio) dalle cantine.

Vere e proprie speculazioni, che oltre a gonfiare i portafogli dei signori di cui sopra allontanano sempre più i vini maggiormente iconici ed evocativi dagli appassionati di questo mondo, che nella stragrande maggioranza dei casi non dispongono di patrimoni tali da potersi permettere di spendere svariate centinaia di euro (come minimo) per una bottiglia di vino.

Ma al di là di questo, l’articolo è stato lo spunto per riflettere su come ormai siano rimaste pochissime le etichette-mito, quelle per cui il trascorrere del tempo è un alleato e non nemico da sconfiggere, in vendita a prezzi ancora umani, quindi al di sotto della soglia psicologica (ma non troppo) dei cinquanta euro a bottiglia.

Mi sovvengono l’elegante Rioja Vina Tondonia Reserva di Lopez de Heredia, le meravigliose Riserve dei Produttori del Barbaresco – Asili e Rabajà su tutte – ed il sempre affascinante Taurasi Radici Riserva di Mastroberardino, uno delle pochissime etichette per cui l’appellativo del Taurasi “Barolo del Sud” ha una certa fondatezza (anche se chi vi scrive odia i paragoni e gli accostamenti, specie tra realtà diverse per storia, cultura e caratteristiche fisico/geologiche).

Ma, anche e soprattutto, un vino umbro capace di scrivere alcune delle pagine più belle dell’enologia del Bel Paese: il Rubesco Riserva Vigna Monticchio di Lungarotti.

Partorito dal genio visionario di Giorgio Lungarotti, che ebbe l’intuizione ed il coraggio di pensare – ma soprattutto di dar vita – ad un rosso da invecchiamento all’interno di un territorio (quello di Torgiano) vocato ma tutt’altro che conosciuto e celebrato.

Un’etichetta che ha letteralmente fatto la storia non solo di una regione ma anche di una bella fetta dell’Italia del vino, senza dubbio di smentita il miglior vino a base Sangiovese al di fuori della Toscana, prodotto per la prima volta – quindi in versione Riserva – a partire dal 1964, solo nelle annate considerate grandi o comunque capaci di dar vita ad un vino con le caratteristiche giuste per evolvere nei decenni.

Un’altra epoca, un periodo lontano in cui l’Italia e gli Italiani avevano il coraggio di rischiare, scommettendo sulle proprie intuizioni e sui propri talenti, un mondo che purtroppo non possiamo far altro che guardare con rimpianto e nostalgia.

Per un periodo – a cavallo degli anni ’70 e poco nascita della DOC Torgiano – vennero prodotte tre differenti etichette di Rubesco Riserva, ognuna riportante l’indicazione vigneto di provenienza delle uve: Monticchio, Montescosso e Montespinello. Toponimi che a partire dagli anni ’80 vennero riuniti sotto il nome di Vigna Monticchio, dando quindi origine all’etichetta che conosciamo oggi, vino simbolo (oltre che di punta) dell'azienda gestita da Chiara Lungarotti - figlia di Giorgio - e dalla sorella Teresa Severini.

Il vigneto si trova a Brufa, frazione di Torgiano, ed è un appezzamento di circa 15 ettari, esposto in modo abbastanza omogeneo verso Ovest/Sud-Ovest e posto ad un’altitudine compresa tra i 260 e i 290 metri sul livello del mare. Meno omogeneo il terreno, dato che qui come in molte altre zone della provincia i terreni sono di origine lacustre, con notevole variabilità pedologica: frange argillose si alternano a zone maggiormente sabbiose, soprattutto nella zona bassa del vigneto, in genere ricco di elementi calcarei e depositi di limo.

Nato e concepito come blend di Sangiovese e Canaiolo  allevati in maniera promiscua (con il primo largamente maggioritario), a partire dalla vendemmia 2010 è divenuto Sangiovese in purezza, riducendo – negli anni – anche l’affinamento in bottiglia prima della commercializzazione: dagli originari 6 anni si è giunti agli attuali 3 anni, mentre al di fuori di un breve periodo a cavallo del nuovo millennio è rimasto invariato (12 mesi) il periodo di affinamento in rovere, oltre che l’impostazione stilistica giocata su definizione, eleganza e bevibilità e la (quasi) sempre grande capacità di invecchiamento.

A me ricorda un po’ la regione da cui proviene, la verde Umbria: all’inizio austero e diffidente, poco portato a facili concessioni, ma con il passare del tempo nel bicchiere sempre più generoso, spontaneo ed espressivo.

Di seguito riporto gli assaggi di questa straordinaria etichetta di cui conservo le schede di degustazione, l’ultima delle quali un’eccellente 2008 aperto qualche sera fa. Altri, anche se senza punteggi o note dettagliate, li conservo solo nel mio cuore di appassionato bevitore…

Rubesco Vigna Monticchio 2005 (assaggio del 23/04/2020)

70% Sangiovese, 30% Canaiolo

Rubino scuro, brillante ed appena venato da sfumature granate. Intensità e densità nella norma. Naso intenso ed ampio, oltre che di bella finezza, che con il trascorrere del tempo nel bicchiere affianca alle note di frutti rossi sfumature che ricordano il pepe nero, la prugna, il mentolo ma anche il cuoio e la torrefazione. In bocca ha un po’ tutto: forza ed eleganza, potenza e controllo. Molto bella la nota salina che accompagna il sorso regalando ulteriore piacevolezza e bevibilità, eccellente la tessitura tannica. Lungo il finale su note di spezie e rimandi di sottobosco. Splendida versione, una delle migliori versioni che ricordi.

95/100

 

Rubesco Vigna Monticchio 2006 (assaggio del 06/01/2019)

70% Sangiovese, 30% Canaiolo

Granato con tendenza aranciata, intenso e molto denso, oltre che poco trasparente. Naso pulito, intenso e complesso, anche se leggermente avanti nella sua parabola evolutiva, giocato su note di sottobosco, funghi, terre nobili, caffè e fiori secchi, a cui si aggiungono rimandi balsamici e di tabacco con il passare dei minuti. Bocca austera ma elegante, di ottimo corpo e buon equilibrio (leggermente spostato verso le durezze). Tannino avvolgente ma di buona finezza, persistenza eccellente. Finale caldo e balsamico, buono ma non memorabile. Crepuscolare ed autunnale.

91/100

 

Rubesco Vigna Monticchio 2008 (assaggio del 21/06/2022)

90% Sangiovese, 10% Canaiolo

Granato integro e compatto, che difficilmente assoceresti ad un Sangiovese con quasi tre lustri sulle spalle. Buona densità, abbastanza intenso per la tipologia. Naso molto pulito, intenso e fine, sulla via della maturità ma non certo evoluto, giocato sui toni autunnali tipici del Sangiovese umbro invecchiato. Buona complessità anche se un filo meno delle attese. Amarena, cipria, terre nobili, thè nero, erbe officinali, leggera nota balsamica in sottofondo. Bocca da medio-massimo, attacco delicato (quasi sottotono), poi succoso ed in spinta grazie ad un’acidità decisamente viva ed una leggera ma ininterrotta sapidità. Frutta matura e spezie in centro bocca. Tannino risolto e di buona tessitura. Persistenza lunga, finale in cui tornano i toni crepuscolari avvertiti al naso. Un uomo maturo che porta benissimo gli anni che ha.

93/100

 

Rubesco Vigna Monticchio 2010 (assaggio del 10/11/2020)

100% Sangiovese

Rubino integro, brillante, consistente ma senza eccessi. Naso ricco e sfaccettato, energico e pulsante come poche altre volte mi è capitato di percepire un rosso umbro. Frutti rossi, ciliegia, prugna, spezie orientali, ginepro, con in più delicati effluvi balsamici e di vaniglia in sottofondo. Bocca importante ma mai fuori le righe, splendidamente in equilibrio tra acidità e calore alcolico, dai tannini imponenti ma estremamente fini. Persistenza chilometrica, finale preciso e pulitissimo in cui torna la frutta e le spezie. Grandissimo vino, elegante e per certi aspetti austero ma già leggibile e di eccezionale armonia. Quasi certamente avrà un grande futuro davanti.

95+/100

 

Rubesco Vigna Monticchio 2012 (assaggio del 15/02/2021)

100% Sangiovese

Ribevuto a distanza di tre anni dalla prima volta.  Rubino appena velato da sfumature granate, forse un filo meno intenso del solito ma sempre estremamente integro e brillante. Naso intenso, dal profilo leggermente particolare ma comunque fine e complesso, giocato su note di caffè, terra bagnata, yogurt ai frutti di bosco e ciliegia sotto spirito, con eleganti note di eucalipto che emergono con il tempo nel bicchiere. Bocca corposa e di buon equilibrio complessivo, giocata su acidità vibrante, alcol importante ma tenuta magistralmente a bada e tannino pieno ma di buona tessitura. Persistenza molto lunga, finale in cui tornano le note avvertite al naso. Meno “tipologico” ma buonissimo, e con grandi margini evolutivi davanti a sé.

94/100

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