Viaggio (virtuale) tra le colline del Barolo

Un lunedì pomeriggio di una calda, se non proprio afosa, giornata di fine maggio.

L’atmosfera tipica dell’ultimo giorno di scuola, del momento scanzonato e rilassato dopo un periodo di ricco di fatiche, ed in effetti anche tra i numerosi produttori intervenuti a Rome Wine Expo – dopo due giorni e mezzo intensi trascorsi tra degustazioni e seminari – l’impressione era quella del rompete le righe prima di godersi il meritato riposo.

Nonostante ciò, e nonostante ci fossero già parecchie defezioni tra i banchetti degli espositori, sono comunque riuscito a fare un interessante giro – mio malgrado solo virtuale – all’interno del variegato ed eterogeneo mondo del Barolo, dei suoi comuni, dei suoi terroir e dei suoi Crus.

Perché si fa presto a dire Barolo ed a pensarlo come fosse un’entità unica e monolitica, mentre nella realtà – ed alla riprova dei fatti e soprattutto degli assaggi – in nessun altro luogo della nostra penisola esiste una denominazione tanto ricca di sfumature e caratteri così distinti e lontani tra loro, anime differenti ma accomunate dalla nobiltà del vitigno (il Nebbiolo) e dalla profondità che questi vini sono in grado di raggiungere.

Il viaggio alla scoperta delle varie faccie del Barolo non può non iniziare dal comune da cui origina il nome la denominazione, e dal cru che – con molta probabilità – incarna al meglio l’essenza ed il carattere dei rossi di questa parte di Langa, fatta di compostezza, classe e definizione: la collina dei CANNUBI.

Climat di grande fama e prestigio, uno dei più storici dell’intero panorama nazionale (visto che esiste un documento del 1751 attestante l’esistenza di una bottiglia di vino recante la scritta Cannubi in etichetta), luogo geografico in cui le due principali “zone geologiche” delle Langhe del Barolo, ossia Elveziano e Tortoniano, s’incontrano e s’amalgamano, originando marne grigio-bluastre ricche di carbonati di magnesio e manganese che, in superficie, diventano di tonalità grigio-biancastra in seguito all’azione degli agenti atmosferici: argille miste a sabbie finissime, con una consistente componente calcarea (marne di Sant’Agata fossili). Inoltre, essendo circondata su tre lati (Sud-Ovest-Nord) dai più alti declivi di La Morra, Castiglione Falletto e Monforte, la collina dei Cannubi si ritrova ad essere perfettamente riparata dal freddo e dal vento, fattori notoriamente ben poco apprezzati dall’uva nebbiolo.

Ne vengono fuori vini che fanno dell’eleganza e della precisione i loro caratteri distintivi, come mostrato dal BAROLO CANNUBI 2017 di VIRNA BORGOGNO (90/100) degustato nel corso dell’evento.

Un vino che trasuda gioventù da ogni suo poro, testimoniato fin dal colore rubino/granato integro e vivissimo, e caratterizzatosi per un naso ammaliante e complesso, giocato su bellissime note di frutta matura, eteree, fiori secchi, cipria e coca-cola. In bocca si mostrato corposo, caldo, con una buona acidità ed un tannino pieno ma abbastanza fine. L’alcol – molto probabilmente figlio di un’annata estremamente calda e difficile – si sente un filino troppo, pur rimanendo comunque nei limiti e dando quindi luogo ad un sorso di buona piacevolezza ed equilibrio. Persistenza importante, finale coerente e lineare su note fruttate, arricchite da rimandi floreali e da una leggera vena balsamica.

Dirigendosi verso nord, si ci ritrova a La Morra, patria di alcuni tra i Barolo più soavi ed espressivi dell’intero panorama. Vini profumati e molto spesso godibili fin dalla giovane età, seppur (generalmente) meno strutturati e predisposti all’invecchiamento di altri.

All’interno del comprensorio, menzione d’onore spetta al cru LE ROCCHE DELL’ANNUNZIATA, senza dubbio il più ambito e prestigioso dell’area, sinonimo di eleganza e di vini che – pur perdendo qualcosa in termini di forza e sostanza rispetto a quelli provenienti da altri terroir della denominazione, regalano picchi quasi assoluti in termini di complessità olfattiva e gustativa.

Esempio paradigmatico, in tal senso, il BAROLO LE ROCCHE DELL’ANNUNZIATA RISERVA 2016 di AURELIO SETTIMO (94+/100), che nonostante fosse in bottiglia da pochissimi mesi mi ha sorpreso ed impressionato per definizione, ricchezza ed armonia. Un autentico fuoriclasse, un Barolo di stampo classico figlio di un’annata che ogni volta in più dimostra di essere la vendemmia dei sogni, una delle più importanti – se non addirittura la più grande – degli ultimi venti anni, nelle Langhe ma più in generale in Italia.

Granato/aranciato alla vista, molto denso e consistente, al naso si racconta attraverso un profilo sussurrato ma al tempo stesso estremamente fine e complesso, oltre che dinamico nel tempo, giocato su note balsamiche (liquirizia, eucalipto), fiori secchi, delicati rimandi vanigliati e note ematico/ferrose ed animali in sottofondo. In bocca mostra una bella struttura ma soprattutto un mirabile (oltre che incredibile, considerata l’età) equilibrio tra le varie componenti, con in più un tannino avvolgente e di splendida tessitura. Persistenza notevole, finale su note di radice di liquirizia e spezie.

Proseguendo ancora nella stessa direzione, si arriva a Verduno, limite settentrionale dell’areale barolista, piccolo comune di non più di 500 anime che – non me ne vogliano gli altri – si incarna quasi simbioticamente nel suo cru di maggiore prestigio, quello del MONVIGLIERO.  Venticinque ettari posti ad un’altitudine variabile tra i 220 ed i 310 metri, la cui formazione geologica si caratterizza per una presenza quasi totalitaria di marne di Sant’Agata fossili ricche silicio e gesso. Ne nascono vini di incredibile pienezza olfattiva, floreali ed ammalianti, eleganti ed armoniosi in bocca all’interno di strutture importanti ma non certo monumentali.

Peculiarità che, alla riprova dei fatti ed a prescindere dalla relativa gioventù, ho ritrovato nel BAROLO MONVIGLIERO 2018 di DIEGO MORRA (91+/100). Un rosso dal colore rubino/aranciato piuttosto scarico, seppur luminoso e consistente, e caratterizzato da un naso netto ma al tempo stesso elegante, sinuoso e flessuoso oltre che molto fine, che si racconta attraverso note di frutta rossa, rosa canina, tabacco oltre che da un delicato sottofondo di spezie orientali. In bocca è strutturato ma non poderoso, molto elegante e già equilibrato, esibendo una acidità deliziosa ed un tannino delicato e di eccellente tessitura. Persistenza molto buona, finale coerente su note floreali e di tabacco dolce.

Da qui, dall’estremo nord del comprensorio, non si può che incominciare a "scendere", ed il cammino a ritroso ci porta a Novello, di certo uno dei comuni meno noti della denominazione, seppur vanti al suo interno alcuni crus di buon lignaggio.

Tra essi, una menzione speciale la merita il RAVERA, importante climat in cui la combinazione di terreno – limoso con basse percentuali di argilla e sabbia, oltre che molto alcalino – esposizione ed altitudine (a ridosso dei 400m, al limite per la denominazione) dà vita a vini aperti ed espressivi, profondi fin dal colore e dall’ottima dorsale acido-tannica.

Aspetti ritrovati nel BAROLO RAVERA 2016 di GIOVANNI SORDO (91/100), ulteriore esempio di un’annata straordinaria, pronta fin da subito ma dal potenziale evolutivo quasi illimitato. Rubino/granato, cromaticamente più intenso della media oltre che consistente, al naso mostra un profilo espressivo e sfaccettato, giocato su note di violetta, frutti rossi, rimandi di cioccolato amaro e leggeri accenni di sottobosco. In bocca mostra buon corpo, notevole equilibrio ed un tannino pieno ma al tempo stesso fine, anche se difetta un po’ di complessità e sfaccettature. Ottima la persistenza, finale su note fruttate e speziate.

Proseguendo poi in direzione est, si raggiunge Monforte d’Alba, uno dei comuni più importanti e prestigioso del comprensorio, famoso per i suoi rossi austeri, non soliti a facili concessioni né a compromessi, ma capaci di profondità, complessità aromatica e longevità fuori dal comune.

Uno dei cru più “tipologici” del comune è certamente il PERNO, in cui al tipico terreno di Monforte d’Alba, elveziano ricco di marne grigie-brune molto compatte, si aggiunge una inusuale – probabilmente la più alta dell’intera denominazione – concentrazione di fosforo e potassio. In bottiglia questo si esprime attraverso vini “maschi”, concentrati sotto tutti i punti di vista, dall’importante dorsale acido/tannica ma al tempo stesso armonizzati da una forza alcolica generalmente sopra la media. 

Caratteri espressi in maniera quasi perfetta nell’assaggio del BAROLO PERNO 2012 di GIOVANNI SORDO (92/100), figlio di un’annata buona ma non stratosferica, che – pur essendo all’inizio dell’evoluzione terziaria – ben racconta il carattere austero e virile di questo terroir. Granato/aranciato, integro e denso, più intenso della media. Naso potente, maturo ma non evoluto, di buona finezza e complessità, scandito da note di liquirizia, caffè ed eteree, oltre che da un delicato accenno di goudron in sottofondo. Im bocca è corposo, caldo e coerente, gagliardo ma al tempo stesso riflessivo, con un tannino che ancora si a sentire ed un’acidità viva nonostante i dieci anni sulle spalle. Persistenza molto buona, finale su note balsamiche, fiori secchi e sottobosco. Crepuscolare ma affascinante.

Il nostro viaggio nelle anime del Barolo non poteva che terminare a Serralunga d’Alba, patria dei rossi più potenti, strutturati e longevi della denominazione, oltre che di alcuni dei crus (Francia, Vigna Rionda, Lazzarito) che hanno maggiormente contribuito a creare la leggenda del "Re dei vini" italiano.

Insieme ai questi autentici mostri sacri, un posto di assoluto rilievo e prestigio lo merita il CERRETTA, climat posto nella parte settentrionale del territorio comunale, caratterizzato da suoli ricchissimi di calcare e quasi privi di scheletro oltre che quasi totalmente esposto a sud-est, luogo di origine di vini corposi e ricchissimi di tannini, che nella maggioranza casi vanno attesi per parecchi anni e dunque ideali per il lungo invecchiamento.

Emblematico, in tal senso, il BAROLO CERRETTA 2013 (*) di ETTORE GERMANO (93+/100), proveniente dal vigneto storico della famiglia, intorno al quale ha sede l’azienda. Granato con riflessi aranciati, molto denso e consistente, al naso si racconta attraverso un bouquet elegante e complesso, giocato su note di cuoio, tabacco, liquirizia e frutta scura. Bocca piena e potente ma al tempo stesso profonda, in cui una delicata nota salina aiuta ad armonizzare un profilo in cui emerge – come da attese – un tannino fittissimo ma al tempo stesso di buona tessitura. Persistenza molto lunga, finale scuro ma al tempo stesso di bella definizione ed eleganza. Un grande Barolo, appena smussato dal trascorrere del tempo e con ancora tanta vita davanti a sé.

Con questo splendido assaggio termina il mio tour tra le colline del Barolo. Stavolta mi sono accontentato di farlo solo virtualmente, se non attraverso l’assaggio di vini capaci quasi simbioticamente di esprimere nel bicchiere i caratteri peculiari del cru di appartenenza.

La prossima volta – invece ma soprattutto finalmente – tornerò a farlo di persona, a respirare l’aria di Langa ed a gustare vini meravigliosi in una delle cornici più belle di questo meraviglioso mondo.

 

* produttore presente all’evento ma vino bevuto qualche settimana fa

 

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